Tangeri, 24 febbraio

In viaggio alla scoperta del Marocco

Quando il gallo canta vuol dire che il giorno è appena iniziato. Così stamani ci siamo affidati a lui. O forse dovrei dire a loro, visto che alle sette Chefchaouen risuonava di chicchirichì in ogni dove.

A parte questo, silenzio totale. Così ci siam seduti un attimo a goderci quella pace, a riempirci per l’ultima volta gli occhi di blu, per poi riemergere, pronti a spingerci sempre più su, fino a raggiungere il mare.

In effetti quello di Tangeri è il primo mare che vediamo in Marocco ed è un mare magico, perché è un attimo e, da daaaaaan, ci mostra anche la Spagna, così vicina da poterla quasi toccare.

Dopo giorni di solo entroterra, il sole che brilla sul mare è una visione che ci entusiasmo, ma il tutto dura si e no cinque minuti. Abbandonata l’ampia strada sulla costa, infatti, si entra nella Medina, che per quanto piccola sia, qua a Tangeri è un vero labirinto.
In giro non si vede nessuno e i pochi che incontriamo, oh, parlan tutti arabo e non c’è verso d’intendersi. Poi però un signore ne chiama un altro, che dice qualcosa d’incomprensibile ad un altro poco più in là. Allora al gruppetto si aggiunge una donna, che a sua volta ne chiama altre due e così, quando ormai avevamo perso le speranze, una grande catena umana ci conduce al Dar dove passeremo la notte. Alè!

Da quando siamo in Marocco non c’è stata una sola persona che non sia stata gentile con noi. Una gentilezza, la loro, di quelle che va ben oltre la formalità, di quella che viene fuori spontanea, ed è un qualcosa che apprezzo davvero molto, soprattutto quando sento che lo zaino inizia a pesare troppo ed io son lì lì per esplodere. Tre, due, uno… Ma per fortuna, be’, pericolo scampato.

Con un buon caffè le cose sembrano andare ancora meglio. Un caffè, si, perché per quanto si parli arabo e si veda in giro qualche ciuffo di menta, da queste parti l’aria che si respita è decisamente più europea che altrove; proprio come la gente seduta nei caffè, sputata fuori da qualche enorme nave da crociera per una manciata d’ore.

La Medina, a Tangeri, si trova incastonata nella città nuova, decisamente più rumorosa e affollata. Vale comunque la pena vederla, pensiamo, così camminiamo un po’ sulle tracce degli scrittori della Beat Generation, tra clacson e macchine parcheggiate ovunque. Ma ad un tratto sento di essere di nuovo a un passo del cedimento. Mi chiedo dove sia finita la pace di Chefchaouen, il suo distensivo blu. Tangeri m’indispone: ho caldo, freddo, poi torna a farmi caldo… ma soprattutto, adesso che son quasi le tre, ho fame.

Così, un po’ per caso, entriamo in un locale dove la voce di Julio Eglesias in filodiffusione scalda l’atmosfera. Ve l’ho detto, qua siamo praticamente in Spagna, ma le persone ci tengono a ribadire la propria unicità e infatti ci servono la sangria marocchina, un delizioso mix di frutta così energetico da fare miracoli. L’ideale per darmi il là e tuffarmi in un’appetitosa zuppa di pesce senza nemmeno passare dal via.

A forza di buttar giù mestolate, la finisco, e quasi prima di Francesco. Mai successa una cosa simile. Lui mi guarda, non riesco a capire se sia più incredulo o felice, ma credo la seconda, ché alla fine s’è risparmiato un’esplosione anche stavolta. E così, mentre mi pulisco la bocca e Julio Eglesias è ancora lì che canta, penso, che momenti alti ci sta regalandi questa città. Altissimi, proprio.

Autore: l_iRe

Segretaria di giorno, di notte scrivo. A trent'anni ho una doppia vita e a tratti ne azzardo una terza, tra amici, sogni, smarrimenti e amore... finché dura.

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