Mellah _ Fes, 22 febbraio

In viaggio alla scoperta del Marocco

La bella Fes ci ha trasmesso un tale relax da spingerci a non mettere la sveglia, ma a fare sì che a svegliarci questa mattina fosse il sole, entrando in punta di piedi attraverso i vetri colorati delle finestre.

È un sole, questo, che quando dice di picchiare picchia sul serio, eh, ma per fortuna a placare la sua foga ci pensa il vento che soffia dell’Alto Atlante e rende l’aria una meraviglia. E così, in un attimo siamo fuori.

L’idea iniziale è quella di camminare fino al quartiere ebraico, poi si vedrà. Al solito, però, le cose van tutte per un altro verso. Prima di arrivare al Mellah, infatti, la nostra attenzione ed i nostri passi si perdono un po’ ovunque. Ma poco importa, perché quell’ovunque sono luoghi, attimi, persone… Son bambini che gridano e scorrazzano per le strade, gentili signori che ci indicano la via e giovani studenti, che stan fuori dalla scuola a ridere e a far merenda, un po’ come facevamo noi a Incisa quando c’era l’Elvira, solo che qui al posto della schiacciata hanno pita e zuppa di legumi.

È proprio vero: tutto il mondo è paese. E forse è anche bello così, ritrovar se stessi altrove.

Poi, be’, c’è chi invece di ritrovarsi si perde ed è Francesco, che da qualche giorno ha iniziato a profumare di fiori d’arancio. Ma questo è il meno. Ieri sera, infatti, l’ho visto bere una limonata per aperitivo e cenare con un piatto di frutta. Ed è stato allora che mi son proeccupata, ché è vero, viaggiare ti cambia, ma mica fino a questo punto.

Quando però oggi l’ho visto nel souk della Medina, che addentava con soddisfazione un panino bisunto, ho finalmente tirato un sospiro di sollievo: è ancora lui, grazie a dio!

E menomale, dico io, ché a me lui piace così com’è, assorto come me nei suoi pensieri, mentre mi sta accanto su strade intricate, sempre più in discesa. E noi scendiamo, scendiamo… Scendiamo fino Place Seffarine, dove un’intima terrazza permette ai nostri sguardi di perdersi sulla città anche dall’altro, tra i verdi tetti delle moschee che spiccano sul bianco d’intorno.
Dal basso si sentono martelli battere sul rame. Sono i fabbri, che sebbene si muovano ognuno ad un ritmo diverso da quello di chi gli sta di fianco, riescono a tirar fuori una sinfonia niente affatto male e allora a noi, quassù, non resta che godercela, muovendo piedi e spalle a ritmo.

È un attimo di pace assoluta, al riparo dal sole e col vento tra i capelli, che s’interrompe solo quando, ad un tratto, rinvengo dal sogno e mi domando, chissà, se riusciremo mai a trovare la forza di scendere di qui?

Medina _ Marrakech, 19 febbraio

In viaggio alla scoperta del Marocco

La speranza di riuscire a capirci qualcosa in questa Medina l’avevamo lasciata fuori dalla porta già ieri notte, quando una volta raggiunto il Riad con l’aiuto d’un ragazzo, ci siamo guardati come a dire, ma dove diavolo siamo finiti?

Be’, per fortuna la luce sa il fatto suo e trasforma a tal punto le cose da esser riuscita, questa mattina, a dare alle vie un volto diverso, decisamente più colorato e vivace.
Nonostante questo, abbiamo comunque rinunciato a bussola e mappa, per buttarci un po’ a caso nel groviglio di vicoli che è questa città.
Per quanto infatti uno tenti di tenere a mente i suoi passi, ripedendo tra se e se: destra, sinistra, poi di nuovo sinistra… ne spuntano di nuovi in ogni dove, e in un attimo, puff, tutti i conti van per aria. Meglio quindi risparmiare il fiato fin dall’inizio. A meno che non si voglia provare con le briciole come Pollicino, ma a giudicare dai gatti affamati che si vedono in giro, be’, ho come l’impressione che anche quelle durerebbero il giusto.

Allora non resta che lasciarsi condurre dagli odori, dai colori e dalle tante persone che si muovono intorno a noi. Oggi, poi, che c’è anche il mercato berbero, con un sacco di prodotti artigianali. Fico, pensiamo. Anche se, un attimo dopo, più che in un mercato, la sensazione è quella d’essere finiti in un giro di schiaffi. Ci ritroviamo, infatti, a bere tè, mentre intanto lavoriamo l’argan insieme a donne berbere, annusiamo pietre e fiori d’arancio, proviamo creme per il viso… tutto più o meno contemporaneamente. E alla fine, non contenti, riusciamo anche a spendere. Quanto? Be’, meglio non dirlo. Certo è, che per quanto riguarda le spese extra con oggi abbiamo chiuso.

A qualcosa comunque questa immersione nel mondo berbero è servita, adesso infatti distinguo alla perfezione tutti gli odori che emana questa città: curcuma marocchina, cannella, menta, argan, rosa masqueta… e ogni tanto, buttata là, una bella zaffata di pipì. Ma quella, be’, la riconoscevo anche prima d’aver incontrato le donne berbere.

Per quanto sia fiera di riconoscerli, va detto che alla lunga tutti questi odori rischiano di dare alla testa, così decidiamo di tirare un attimo di fiato. Per farlo servono gli ampi e silenziosi spazi di Palazzo El Badi. E visto che ci siamo, anche Palazzo El Bahia, che nel suo susseguirsi di cortili fioriti, intarsi e piastrelle dai mille colori, è una vera oasi di pace.

Una pace che però svanisce all’istante quando entriamo in piazza Jemaa El Fna, dove tra incantatori di serpenti, scimmie al guinzaglio ed enormi banchi di frutta secca, ci siamo anche noi. E insieme a noi, altra gente. Un sacco di altre gente, che mangia, ride, canta, cammina… e sembra non averne mai abbastanza.

Che piazza questa piazza. Marrakech non sarebbe la stessa senza. Anche se, per quanto mi riguarda, non ho ancora ben capito se mi piace o no.
La osservo, mentre intanto il sole ci saluta e noi buttiamo giù l’ennesimo tè alla menta.
Domani è un altro giorno. Chissà, magari saprò darmi una risposta.