Nuovi inizi

L’altro giorno ho iniziato a scrivere una nuova storia. Non so se questa diventerà mai un libro, ma so per certo che dopo aver concluso la prima pagina mi sono ritrovata in cucina a ballare felice come una bambina sulle note di Rock the Casbah dei Clash mentre cucinavo pollo al curry.

Lo so, esistono immagini più edificanti per descrivere una trentacinquenne in estasi, ma non riesco a trovarne una migliore per rendere l’idea di quanto profondamente riesca ad elettrizzarmi ogni nuovo inizio.

Ecco, se proprio mi devo sbilanciare in un augurio, per me vorrei un 2022 così: pieno di nuovi inizi e puro entusiasmo. Lo stesso che auguro anche alle poche ma preziosissime persone che amo con tutta me stessa.

E allora avanti tutta, sempre!!

La giungla

Questo mondo somiglia sempre di più a una giungla. E quando dico così, non intendo fare un paragone con la foresta impenetrabile e ricca di liane che ha visto crescere Mowgli e i nostri sogni avventurosi di bambini.
No.
Voglio dire che questo mondo si fa ogni giorno più ricco di insidie. Un luogo sempre meno ospitale per i sui stessi abitanti, che pare stiano puntando dritti all’autodistruzione senza nemmeno passare dal via.

Per quanto comunque si tratti di una giungla figurata, gli animali da queste parti non mancano.
Ci sono le gatte morte, ad esempio, o i galli da pollaio. I maiali che ti squadrano per strada; le amebe e i parassiti, che abitano il pianeta da tempo immemore; o quelli che peggio cento giorni da pecora che uno da leone.

Ecco, sulla base della mia esperienza posso dire che sono proprio loro, i leoni, che ultimamente van per la maggiore.
A onor del vero, devo ammettere che qualche volta lo sono stata anche io: uno di quelli che la sera leoni e la mattina… Insomma, ‘sta storia è risaputa.

Ma di leoni ne esistono anche altri tipi. Ci sono per esempio quelli da tastiera, che negli ultimi anni sono stati protagonisti di un vero e proprio ripopolamento, tanto da essere ormai diffusi a tutte le latitudini. E infatti sfido chiunque a dire di non essersi mai imbattuto in uno di questi esemplari…

Se poi, usando un po’ di fantasia, trasformate quella tastiera in un volante, ecco che otterrete un altro esemplare di leone – tendenzialmente diffuso in habitat più urbanizzati – pronto a tenere testa al cugino informatico.

Per una come me, che passa ogni giorno una buona ora e mezza in auto, i leoni da volante sono pane quotidiano.

Ci sono quelli di passaggio, che fanno puntatine estemporanee in territori altrui, rigorosamente cellulare alla mano e muso al culo. Li vedi una volta, manco il tempo di un’annusata e via.

Poi ci sono invece quelli stanziali, che si sentono i padroni indiscussi del territorio, come l’esemplare che ogni mattina, intorno alle 7.40, si muove da Firenze verso Ellera con la sua auto grigia targata EM***** in un continuo zig zag di sorpassi tra le auto che si susseguono fitte in entrambi i sensi. Ma lui niente, sta al culo di tutti e sorpassa, rigorosamente con la striscia continua… altrimenti che divertimento c’è!

Si direbbe un atteggiamento tipico di un leone di primo pelo, giovane e spavaldo, intenzionato a mettersi in mostra. Invece no. Sto leone ha pure una certa età… Una età che mi permetto di dire è evidentemente solo anagrafica dato che il cervello è rimasto indietro.
Ma lui non sembra farsene un problema. Anzi, forse è proprio quella la sua forza: il cervello chissà dove. Cosa che gli permette, dopo aver messo serenamente in pericolo un sacco di gente, di fermarsi al semaforo come se nulla fosse, aprire il finestrino e soffermarsi a salutare un passante, il quale non può che essere uno sciagurato, non fosse altro che per questa conoscenza. Ma vabbè, com’è che si dice, il mal voluto ‘unn’è mai troppo!

Quanto a me e al mio rapporto con questa giungla, ogni volta che capita di imbattermi in leoni così, trofi e arroganti da dietro un volante, provo un forte senso di repulsione. “Ma quale essere vorrebbe qualcuno così accanto?” mi chiedo. “Quale essere vorrebbe mettere al mondo qualcuno insieme a un tipo così?”, mi domando subito dopo, mentre sento le mie tube di falloppio chiudersi lentamente e salutare il pubblico… E invece, oh, tocca ammetterlo, è proprio vero che i gusti son gusti, perché da quel che vedo io, in questa giungla, a chiudersi, son sempre più spesso le tube sbagliate.

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>> Non se ne abbiamo a male i leoni veri, che per quanto mi riguarda meritano molto più rispetto e attenzione di tanti esseri umani <<

#ilovenature
#welcometothejungle

Imbrunire

È un mercoledì di maggio, uno come tanti, se non fosse che siamo reduci da una quarantena, che per un po’ ci ha costretti in casa per risputarci fuori dopo due mesi esattamente uguali ai noi stessi di prima.

E così, anche la città è tornata ad essere quella d’un tempo, già sveglia all’alba col suo via vai di auto e motorini, con il camion per la raccolta dei rifiuti che quando si ferma sotto casa non son neanche le sette del mattino e in uno SBAM di cocci di vetro mi da il suo buongiorno.

Da quassù non si sentono più voci, più nessun coro organizzato dalle finestre né dai balconi. A resistere son solo i piccioni, impavidi, che al mattino si lanciano sui tetti e tubano, tubano… tubano come se non ci fosse un domani. Per il resto, be’, il rumore di fondo è tornato a far da padrone, relegandoci di nuovo al ruolo di comparse.

Non tutti, sia ben chiaro, c’è infatti chi si sente ancora protagonista. Ma di loro sotto casa mia non c’è traccia. I protagonisti se ne stanno altrove, per lo più a ridosso dei locali, con il cocktail in mano e la mascherina leopardata poggiata sul naso. Incontenibili, modaioli. Ma detto tra noi, per quanto vederli mi faccia sorridere, mi divertivo molto di più a guardare il mondo dalla mia finestra. Là si che la gente riusciva a sorprendermi e a farmi ridere, intendo ridere sul serio.

Già, perché per quanto questi giorni sospesi abbiano portato nella mia vita nervosismo e paura del domani, han saputo anche regalarmi cose belle e assai rare. Il fatto, ad esempio, d’aver trascorso ben 75 giorni tra le stesse quatto mura, che ora amo e son diventate casa. O di avermi ridato il tempo per la lettura, tanto da imbattermi, incosciente, nelle 945 pagine di 4321 di Paul Auster.

Bella anche la nostalgia degli abbracci dei miei cari e degli amici, insieme alla gratitudine per poter godere di quelli di Francesco, ché com’è che si dice? Two is meglio che one.

E poi i vicini, che ho scoperto essere dei tipi davvero bizzarri, cosa niente affatto male, ché tra una cantata a squarciagola ed una litigata, oh, per lo meno non ho mai corso il rischio d’annoiarmi, tanto meno di sentirmi sola. Soprattutto se penso alla famiglia di peruviani che vive nel palazzo di fronte, il cui balcone dista dal mio si e no uno sputo. Una cosa che all’inizio mi infastidiva, mentre adesso, be’, penso che questi giorni non sarebbero stati gli stessi senza di loro.

Così, ora ogni mattina saluto la donna di casa con un sorriso ed un bel ciao, mentre si appresta a far le sue lavatrici. Oh, non fa altro da mattina sera. E vorrei vedere, con tre uomini in casa… Ma lei sembra felice come una Pasqua, con il vento che le sbatte in faccia, pronto ad asciugare i panni, e la sua bella musica di sottofondo.

Hei! Man suona vivace anche adesso che il giorno sta per finire. Ora però è il marito che si muove su e giù per il balcone, scuotendo spalle e fianchi a ritmo. È un’immagine talmente allegra che mi dico: è così che voglio ricordare questi giorni, con il brio gioioso di quest’uomo all’imbrunire, capace, senza saperlo, di risollevare le sorti di una faticosa giornata di lavoro.

Allora sai cosa? Io resto ancora un po’ alla finestra. Ché con questa bell’aria frizzante si sta d’un bene… E poi, oh, metti che tra un ballo e l’altro a sorpresa salta fuori un nuova storia, non vorrò mica perdermela!

Barba e capelli

È un lunedì, l’ennesimo, ma a quanto pare non siamo più in quarantena, ché oggi, 18 maggio 2020, il Paese fa un altro passo in avanti e così, oplà, eccoci finalmente giunti dentro la fase 2 della Fase 2. Visto quel che abbiamo attraversato, infatti, meglio aspettare a cantar vittoria riempiendoci la bocca con la numero 3.

A dire il vero, però, quello che va in scena fuori dalla mia finestra parrebbe un lunedì normale, di quelli che c’erano una volta, se non fosse che dopo mesi la saracinesca del barbiere è tornata ad alzarsi e guarda un po’, proprio di lunedì, giorno in cui un tempo la categoria si riposava.

Ma anche volendo, be’, mi pare che con oggi il tempo del riposo sia davvero finito. Non son neanche le nove del mattino, infatti, quando il marciapiede, là fuori, inizia a farsi affollato. Lemme lemme un uomo raggiunge l’ingresso e butta lì un Buongiorno. Dopo di lui un altro, poi un altro ancora. C’è chi arriva in bici e chi invece in auto, per lasciarla in doppia fila e aggiungersi in fretta e furia alla coda, che un attimo dopo l’altro si fa sempre più lunga.

Se non fosse che van tutti a due all’ora, parrebbe un assedio e a quanto pare non son l’unica ad essere di questa idea, perché un attimo dopo arriva un signore che tutto tranquillo risale la fila fino in cima, bussa al vetro e lascia andare un energico All’attacco!!
Il barbiere da dentro alza il braccio e lo saluta.
“A domani”, fa l’uomo.
“T’ho messo alle nove. Che va bene?”.
“Avoglia! Allora via, buona giornata”.

Prima di proseguire per la sua strada, però, da uno sguardo alla fila. La saracinesca si è appena alzata ma là fuori ci son già sei o sette persone. Per non parlare di chi si è avvicinato, ma un attimo dopo ha desistito, intimidito forse dalla lunga attesa. L’uomo è ancora lì, che guarda gli altri dall’ingresso, con l’espressione di chi fatica a credere a ciò che vedono i suoi occhi, in un misto di felicità e stupore.

Quando si dice di ripartire, oh, da queste parti si fa sul serio. Penso sia ciò che gli sta frullando in testa. E detto tra noi è lo stesso pensiero che frulla nella mia, mentre guardo divertita quella fila di teste bianche e arruffate che non aspettano altro d’esser rimesse a posto. Ma in realtà, forse perché sono donna e quando si parla di parrucchieri, oh, sembra che si facciano le corse solo noi, mi torna in mente la frase d’un film – e che film! – che sebbene in quel contesto intendesse tutt’altro, be’, da un po’ ha preso a rimbalzarmi in testa senza volersene più andare, come se in fondo non se ne stesse niente male neanche qui, affacciata con me alla finestra, e allora giù, via: La donna, la donna, la donna… o l’omo!

***

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Chiacchiere tra amiche

È un martedì di quarantena, l’ennesimo, e anche se le cose in questi giorni sembrano star tornando pian piano alla normalità, la gente non si riconosce più.

E quando dico così, non mi riferisco ai cambiamenti che tutta ‘sta storia ha provocato alle nostre interiorità, al nostro modo di pensare, di agire, di dormire… No. Questo non c’entra, per lo meno non oggi che di gente in giro non se ne vede poi molta dato che il cielo è pieno di nuvoloni grigi e minacciosi, pronti a sganciare pioggia sulla città in tre… due… uno.

Nonostante questo, però, c’è chi se ne sta in strada comunque e con una bella risata rompe il silenzio che ahimè, ormai suona così strano.

È una donna. “Sie…!! – grida sorpresa – E ‘un t’avevo miha riconosciuto!”.
“Oh io?! – fa un’altra indicando la mascherina – Co’sta roba su i’viso. Tu m’ha dì te come si fa a riconoscisi!”.
E giù a ridere insieme.

Mentre dal cielo scende una pioggierellina di quelle leggere che potrebbe continuare a scendere beata per ore ed ore, le due sembrano proprio due gocce di quella pioggia lì. Serene e imperturbabili, a parlare di figli, lavoro, salute… Passano di palo in frasca, proprio come solo le donne – soprattutto se amiche – san fare, e a suon di parole, oh, in una manciata di minuti recuperano giorni e settimane.

Mi preparo il pranzo sbirciandole dalla finestra, mentre le vedo lì, nel loro metro di distanza, e penso: le mascherine gli avranno pur impedito di riconoscersi, ma di sicuro non hanno tolto loro fiato. Da parte, infatti, sembrano averne davvero un bel po’ e in fondo, be’, niente di meglio che utilizzarlo in una bella chiacchierata tra amiche. Soprattutto se son settimane e mesi che non ti vedi.

Poi, come spesso succede, le parole prendono ad uscire più lentamente. Si fan più rade e si somigliano un po’ tutte, fino a quando, d’un tratto non si esauriscono. E così, proprio come era iniziata, la chiacchierata tra le due finisce. Una gran risata, un Ci si vede! e via, ognuna per la sua strada, a scivolare come piccoli raggi di sole nella pioggia.

***

Se anche tu hai delle amiche che non vedi l’ora di rivedere, condividi con loro questa Storia alla finestra!

Stasera pizza!

È un mercoledì di quarantena, l’ennesimo, anche se oggi, curiosi di vedere il mondo là fuori, io e Francesco ci siamo lanciati nelle larghe trame della Fase 2 e siamo usciti a far due passi.

Giusto due, eh, ma vista l’immobilità delle ultime settimane, son comunque bastati per ridurci in brandelli. Al punto che per tirarci su, abbiam pensato servisse qualcosa di speciale: una pizza, ad esempio. E non una di quelle fatte da noi, improvvisandoci con acqua e farina insieme al resto del Paese. Ma una pizza vera, che sarebbe giunta fino in casa fumante e succulenta dentro un cartone da asporto.

Da qualche giorno la pizzeria sotto casa ha pure riaperto i battenti. Questo è un chiarissimo invito a nozze, ci siam detti. Così, un attimo più tardi ci ritroviamo sotto all’insegna luminosa che ne indica l’ingresso, ma un cartello rallenta inaspettatamente la nostra corsa. Si entra uno alla volta, dice.

Allora Francesco si affaccia cauto, poi, un po’ alla volta entra. Io invece resto fuori, ché uno, penso, vale per tutti, anche per noi che siamo insieme. Ma evidentemente penso male, perché sebbene sia lì ferma sulla porta, quasi a bloccare l’ingresso, una signora in là con l’età mi dribla da dietro e si lancia dentro. Né uno sguardo né un mi scusi… o che so, un permesso… men che mai un buonasera.

Io resto un attimo interdetta. Chissà, penso, forse è colpa mia, ché i contorni di ‘sta Fase 2 ancora non li ho ben chiari, ma a quanto vedo mi sembra che ognuno possa fare un po’ quel che diavolo gli pare. Ignorare gli altri, ad esempio, o saltare la fila… E infatti, manco a dirlo, un attimo dopo un ragazzo me ne da conferma, ché anche lui, senza dire pe, apre la porta e via, dentro.

Muah… Mi dico, ripensando a quando le nostre vite si svolgevano sui balconi, quando l’altro ci sembrava così vicino e ad unirci bastava un po’ d’acqua e farina. Quando le ricette le urlavi al vicino dalla finestra o perché no, al telefono, come quel signore di qualche settimana fa.

Oh – ha detto entusiasta a chissà chi – ho fatto l’impasto per la pizza e la schiacciata… Ma te ci metti il latte? … Si, il latte! … Ah, no?! … E i buchi? … Come che buchi? Quelli pe’ falla lievita’! … Eh! Li fa’ prima o dopo? …
E così via, per dieci minuti buoni, a parlare di prosciutto, pecorino e tanta altra roba buona da metterci su. Quelli sì che erano bei tempi!

Adesso che siam tornati liberi, invece, la gente non si dice più niente, e sebbene ci si muova a meno d’un metro l’uno dall’altro, be’, non ci si sente più veramente vicini a nessuno.

Quando la signora esce di là dentro con la sua pizza ed una birra mi guarda dritta negli occhi. Par quasi le dia noia, lì sul marciapiede. Ma io resto immobile, bella e buona dietro la mia mascherina. Che saran mai due passi in più, signora mia. Suvvia!

La segue a ruota Francesco. Basta uno sguardo per intenderci. Mentre gli sorrido, la signora è già a qualche metro da noi, intenta a filar via col suo bottino tra le braccia. La seguiamo con lo sguardo finché non gira l’angolo, poi d’un tratto svanisce. Puff!

Gnamo, va, che si fredda la pizza!

***

Se questa storia ti è piaciuta, leggi Per un tozzo di pane.
Scoprirai come sono nate le mie Storie alla finestra.


Capirsi

Sono le 8.30 di un sabato di quarantena, l’ennesimo, ed io starei ancora dormendo se la tipa del piano di sotto non avesse iniziato a cantare.

Felicità… felicitààààà…!! grida sotto di noi a squarciagola.
Così sobbalzo nel buio della mia camera, immaginando lei che impugna la scopa a mo’ di microfono e scaccia la polvere. Quanta grinta, penso, quanto entusiasmo per l’ora che è.

Io invece resto sotto coperta, ad ascoltare al buio la città che un po’ alla volta si risveglia: i colombi che tubano sui balconi, il 20 che si ferma sotto casa, una tapparella che si alza e ad un tratto, loro.

_Oh! – fa uno.
_Eh? – risponde l’altro.
_Ma che situazione…?
_Bah!
_Muah…

Poi, nient’altro.
Solo silenzio.

E in fondo bene così, ché nella vita, si sa, l’importante non è certo riempirsi la bocca di chissà quali parole, ma capirsi. Una roba che ai più può sembrare un’impresa, ma certo non a loro, ché a quanto pare son dei veri fuoriclasse e per capirsi, altro che parole, un paio di mugugni buttati fuori dalla finestra e rizzati!

Fase 2

È un lunedì mattina di quarantena, l’ennesimo, anche se va detto che negli ultimi giorni le cose sono un po’ cambiate. Dal Primo Maggio infatti si è dato il via alle passeggiate e così, complice il sole di questi giorni, nel fine settimana la gente si è riversata per le strade.

Il momento che i più stavano aspettando, però, non era tanto il primo di maggio ma questo lunedì 4: un giorno che tutti ricorderemo come l’inizio della cosiddetta Fase 2. Un qualcosa che ancora non ho ben inquadrato, ma che a giudicare dalle auto in doppia fila di stamani, be’, ho il sospetto che molti abbian preso per un bel Bomba Libera Tutti. Speriamoabbene, eh!

Le premesse, però, va detto, non son poi così tragiche. Sebbene siano le 9 passate, infatti, di gente in giro non se ne vede poi tanta. Per lo meno a piedi. Le auto, invece, non fanno altro che passare, passare, passare… e così, dico addio al silenzio irreale che nei due mesi appena trascorsi mi ha fatto compagnia. È bastata una notte perché svanisse e ahimè, credo per sempre.

Mentre aspetto che il caffè sia pronto, cerco di abituarmi alla novità, ascoltando ad occhi ancora abbottonati la città che torna alla vita: bandoni che si alzano, motorini che sfrecciano, qualcuno che si saluta dopo giorni o settimane…

Un brusio a cui si fa presto ad abituarsi. Ma ad un tratto, un rumore sovrasta gli altri. È uno sportello che si chiude. Sbam!
Anzi due. Sbam! Sbam!

Dalla finestra vedo due furgoncini, che se ne stanno in mezzo alla strada uno dietro l’altro, e due uomini che si guardano intorno. Prima a destra, poi a sinistra, poi di nuovo a destra. Non è chiaro chi o cosa stiano cercando, fino a quando uno dei due non apre bocca: Dev’essere questo, fa, indicando uno dei cassonetti blu per la raccolta di vetro e plastica.

Così, senza pensarci un attimo, l’altro si avventa su quel coso tentando di rimetterlo a posto a suon di spallate. Il cassonetto è così pieno che non si schioda d’un millimetro, ma lui non demorde. Poi però, l’altro si avvicina e lo prende per un braccio. Aspetta, no – fa – la segnalazione era al numero 5*.

E così, si spostano entrambi dall’altra parte della strada, proprio davanti a quel numero civico. Dev’essere uno di questi, dicono. E così riparte la ricerca.

Potrei stare a guardarli per ore, ma li lascio fare, ché la moka ha preso a borbottare. Il mio pensiero, però, resta là fuori, con loro e con i tanti sceriffi di quartiere, che adesso che le persone han riacquistato un po’ di libertà, oh, mi sa che non se la cavano mica poi tanto bene. E così, nell’impossibilità di segnalare gli esseri umani, si buttano su altro. Oggi, ad esempio, è toccato a un cassonetto.
Domani, chissà…

La bocca della verità

È una domenica di quarantena, l’ennesima, anche se, va detto, le cose non son più come una volta.

Da un paio di giorni, infatti, le maglie della rete che per quasi due mesi ci ha costretti in casa si sono un po’ allargate. Adesso, ad esempio, son permesse pure le passeggiate – oh, anche per chi non ha figli o cani… incredibile – e così, oggi, la gente si è riversata in strada. Be’, vorrei vedere, con questo bel sole!

Io, a dire il vero, son rimasta a casa, tra le mie quattro mura con Francesco, ma questo non mi ha certo tagliato fuori dal risveglio della città. È bastata una manciata di ore, infatti, perché le strade tornassero a riempirsi di sorrisi, brusii… Roba a cui non ero più abituata – per lo meno non in questa quantità – ma che ammetto, per quanto abbia ascoltato da quassù con un po’ di diffidenza, è riuscita a trasmettermi una profonda voglia di vivere. La stessa che ho io, eh, sebbene abbia passato la mia domenica sul divano.

E poco importa se il ritorno alla normalità prevede anche l’inevitabile riversarsi in strada di auto e moto. Oh, in qualche modo son vita pure quelle. Un po’ come le voci, che di tanto in tanto, staccano il brusio di fondo e si scagliano nitide e convinte verso l’alto, riuscendo ad entrare persino in casa.

Una, in particolare, mi ha raggiunta in camera che erano quasi le 18, squillante e tendente allo sfinimento, come solo quella di un bambino può essere a quest’ora di domenica: Babboooo… Si va a casa??!!

Un grido di ribellione, che ha la meglio su tutto e tutti, anche su di me, che appena lo sento inizio a ridere da sola sul letto, mentre penso, ecco il mio eroe, alla faccia di chi diceva che erano i bambini ad aver bisogno dell’aria aperta!

Nuove tendenze

Sono le 8 di un martedì di quarantena, l’ennesimo, quando mi affaccio alla finestra e scopro che il cielo oggi si è tinto d’un colore decisamente diverso dall’azzurro che nei giorni scorsi aveva saputo darci un assaggio di primavera.

È vero, siamo chiusi in casa e in fondo chissene del tempo che fa, ma sapere che là fuori la primavera sta comunque facendo il suo corso – con o senza di noi – è una cosa che riesce incredibilmente a tirarmi su.

Oggi però non c’è traccia di primavera. Fuori è tutto grigio e regna il solito silenzio, quello in cui ormai son così immersa che appena qualcuno parla un po’ più forte, oh, mi par d’aver a che fare con un martello pneumatico. Uno di quelli che un tempo trapanavano convinti l’asfalto ed i timpani, costringendoti ad accelerare il passo o a cambiare lato della strada.

Adesso che in giro non ci siamo più neanche noi, figuriamoci se ci sono i martelli pneumatici… Ma se solo guardiamo fuori ci si accorge che le strade son tutt’altro che vuote. A farla da padrona però non son più le auto, gli scooter, i bus… Ma i piccioni, che tra un volo e l’altro tra alberi e balconi, non disdegnano di tanto in tanto una passeggiata sull’asfalto. Adesso, poi, che possono farlo quasi del tutto indisturbati…

A vederli zampettare sereni come delle Pasque, viene da chiedersi come vivranno il momento in cui torneremo a riappropriarci delle strade e li scacceremo da lì. Ci sarà da preoccuparsi, belli miei, mica come adesso, che al massimo v’imbattete nei runner.

Anche loro in questi giorni ne han guadagnato in sicurezza e infatti, dopo essersi liberati dal traffico d’un tempo e dagli sceriffi di quartiere, han ripreso a correre e stavolta in mezzo alla strada, come se nulla fosse.

Il momento che preferiscono per farlo è il mattino, quando i più ancora dormono. E così, a certe ore del giorno in giro non ci sono altro che loro: runner e piccioni, che tirano dritti verso chissà dove, senza guardare in faccia niente e nessuno.

Ma nella vita, si sa, talvolta può capitare che le linee rette che siamo intenti a tirare vengano interrotte. Proprio come in questa mattina uggiosa, in cui ad un tratto, mentre un runner e un paio di piccioni vagano indisturbati per la via, ecco che spunta un anziano e così, all’aria tutti piani!

Ultimamente, infatti, da queste parti le persone d’una certa età han preso a camminare in modo bizzarro: cambiano di continuo marciapiede, adoperandosi in uno zig zag che per far dieci metri in linea d’aria – roba che ad un essere normale richiederebbe si e no una manciata di secondi – oh, a loro ci vogliono cinque minuti buoni. E se poi ci son pure runner e piccioni a bloccare il passaggio, be’, i minuti posson diventare anche sei. Ma loro non si scompongono, anzi, pare che più ci mettono meglio è, ché la giornata in qualche modo deve pur passare.

Allora resto lì, ad osservare questa curiosa invasione di campo, che giunge inaspettata a rallentare il passo del runner e pure dei piccioni. Il giovane prende a saltare sul posto, ma giusto un attimo, eh, che l’incrocio di sguardi non dura più d’un secondo. L’anziano, infatti, senza fermarsi snoda le braccia da dietro la schiena, alza una mano per ringraziare e si butta in avanti a testa bassa.

I piccioni, spaventati, volano via; il runner si ferma, si piega in avanti e riprende fiato. L’unico che sembra non essersi accorto di niente è proprio lui, l’anziano, che anche se inizia a cadere qualche goccia di pioggia, chissene. Una sistemata al cappello, le mani che tornano ad annodarsi dietro la schiena ed eccolo di nuovo a ballare l’Alligalli. Tre passi a destra, tre a sinistra. Uno indietro a prendere la rincorsa e via, avanti, verso l’infinito ed oltre.

Del resto, anni e anni di balera saran pur serviti a qualcosa, no?