Imbrunire

È un mercoledì di maggio, uno come tanti, se non fosse che siamo reduci da una quarantena, che per un po’ ci ha costretti in casa per risputarci fuori dopo due mesi esattamente uguali ai noi stessi di prima.

E così, anche la città è tornata ad essere quella d’un tempo, già sveglia all’alba col suo via vai di auto e motorini, con il camion per la raccolta dei rifiuti che quando si ferma sotto casa non son neanche le sette del mattino e in uno SBAM di cocci di vetro mi da il suo buongiorno.

Da quassù non si sentono più voci, più nessun coro organizzato dalle finestre né dai balconi. A resistere son solo i piccioni, impavidi, che al mattino si lanciano sui tetti e tubano, tubano… tubano come se non ci fosse un domani. Per il resto, be’, il rumore di fondo è tornato a far da padrone, relegandoci di nuovo al ruolo di comparse.

Non tutti, sia ben chiaro, c’è infatti chi si sente ancora protagonista. Ma di loro sotto casa mia non c’è traccia. I protagonisti se ne stanno altrove, per lo più a ridosso dei locali, con il cocktail in mano e la mascherina leopardata poggiata sul naso. Incontenibili, modaioli. Ma detto tra noi, per quanto vederli mi faccia sorridere, mi divertivo molto di più a guardare il mondo dalla mia finestra. Là si che la gente riusciva a sorprendermi e a farmi ridere, intendo ridere sul serio.

Già, perché per quanto questi giorni sospesi abbiano portato nella mia vita nervosismo e paura del domani, han saputo anche regalarmi cose belle e assai rare. Il fatto, ad esempio, d’aver trascorso ben 75 giorni tra le stesse quatto mura, che ora amo e son diventate casa. O di avermi ridato il tempo per la lettura, tanto da imbattermi, incosciente, nelle 945 pagine di 4321 di Paul Auster.

Bella anche la nostalgia degli abbracci dei miei cari e degli amici, insieme alla gratitudine per poter godere di quelli di Francesco, ché com’è che si dice? Two is meglio che one.

E poi i vicini, che ho scoperto essere dei tipi davvero bizzarri, cosa niente affatto male, ché tra una cantata a squarciagola ed una litigata, oh, per lo meno non ho mai corso il rischio d’annoiarmi, tanto meno di sentirmi sola. Soprattutto se penso alla famiglia di peruviani che vive nel palazzo di fronte, il cui balcone dista dal mio si e no uno sputo. Una cosa che all’inizio mi infastidiva, mentre adesso, be’, penso che questi giorni non sarebbero stati gli stessi senza di loro.

Così, ora ogni mattina saluto la donna di casa con un sorriso ed un bel ciao, mentre si appresta a far le sue lavatrici. Oh, non fa altro da mattina sera. E vorrei vedere, con tre uomini in casa… Ma lei sembra felice come una Pasqua, con il vento che le sbatte in faccia, pronto ad asciugare i panni, e la sua bella musica di sottofondo.

Hei! Man suona vivace anche adesso che il giorno sta per finire. Ora però è il marito che si muove su e giù per il balcone, scuotendo spalle e fianchi a ritmo. È un’immagine talmente allegra che mi dico: è così che voglio ricordare questi giorni, con il brio gioioso di quest’uomo all’imbrunire, capace, senza saperlo, di risollevare le sorti di una faticosa giornata di lavoro.

Allora sai cosa? Io resto ancora un po’ alla finestra. Ché con questa bell’aria frizzante si sta d’un bene… E poi, oh, metti che tra un ballo e l’altro a sorpresa salta fuori un nuova storia, non vorrò mica perdermela!

Barba e capelli

È un lunedì, l’ennesimo, ma a quanto pare non siamo più in quarantena, ché oggi, 18 maggio 2020, il Paese fa un altro passo in avanti e così, oplà, eccoci finalmente giunti dentro la fase 2 della Fase 2. Visto quel che abbiamo attraversato, infatti, meglio aspettare a cantar vittoria riempiendoci la bocca con la numero 3.

A dire il vero, però, quello che va in scena fuori dalla mia finestra parrebbe un lunedì normale, di quelli che c’erano una volta, se non fosse che dopo mesi la saracinesca del barbiere è tornata ad alzarsi e guarda un po’, proprio di lunedì, giorno in cui un tempo la categoria si riposava.

Ma anche volendo, be’, mi pare che con oggi il tempo del riposo sia davvero finito. Non son neanche le nove del mattino, infatti, quando il marciapiede, là fuori, inizia a farsi affollato. Lemme lemme un uomo raggiunge l’ingresso e butta lì un Buongiorno. Dopo di lui un altro, poi un altro ancora. C’è chi arriva in bici e chi invece in auto, per lasciarla in doppia fila e aggiungersi in fretta e furia alla coda, che un attimo dopo l’altro si fa sempre più lunga.

Se non fosse che van tutti a due all’ora, parrebbe un assedio e a quanto pare non son l’unica ad essere di questa idea, perché un attimo dopo arriva un signore che tutto tranquillo risale la fila fino in cima, bussa al vetro e lascia andare un energico All’attacco!!
Il barbiere da dentro alza il braccio e lo saluta.
“A domani”, fa l’uomo.
“T’ho messo alle nove. Che va bene?”.
“Avoglia! Allora via, buona giornata”.

Prima di proseguire per la sua strada, però, da uno sguardo alla fila. La saracinesca si è appena alzata ma là fuori ci son già sei o sette persone. Per non parlare di chi si è avvicinato, ma un attimo dopo ha desistito, intimidito forse dalla lunga attesa. L’uomo è ancora lì, che guarda gli altri dall’ingresso, con l’espressione di chi fatica a credere a ciò che vedono i suoi occhi, in un misto di felicità e stupore.

Quando si dice di ripartire, oh, da queste parti si fa sul serio. Penso sia ciò che gli sta frullando in testa. E detto tra noi è lo stesso pensiero che frulla nella mia, mentre guardo divertita quella fila di teste bianche e arruffate che non aspettano altro d’esser rimesse a posto. Ma in realtà, forse perché sono donna e quando si parla di parrucchieri, oh, sembra che si facciano le corse solo noi, mi torna in mente la frase d’un film – e che film! – che sebbene in quel contesto intendesse tutt’altro, be’, da un po’ ha preso a rimbalzarmi in testa senza volersene più andare, come se in fondo non se ne stesse niente male neanche qui, affacciata con me alla finestra, e allora giù, via: La donna, la donna, la donna… o l’omo!

***

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Chiacchiere tra amiche

È un martedì di quarantena, l’ennesimo, e anche se le cose in questi giorni sembrano star tornando pian piano alla normalità, la gente non si riconosce più.

E quando dico così, non mi riferisco ai cambiamenti che tutta ‘sta storia ha provocato alle nostre interiorità, al nostro modo di pensare, di agire, di dormire… No. Questo non c’entra, per lo meno non oggi che di gente in giro non se ne vede poi molta dato che il cielo è pieno di nuvoloni grigi e minacciosi, pronti a sganciare pioggia sulla città in tre… due… uno.

Nonostante questo, però, c’è chi se ne sta in strada comunque e con una bella risata rompe il silenzio che ahimè, ormai suona così strano.

È una donna. “Sie…!! – grida sorpresa – E ‘un t’avevo miha riconosciuto!”.
“Oh io?! – fa un’altra indicando la mascherina – Co’sta roba su i’viso. Tu m’ha dì te come si fa a riconoscisi!”.
E giù a ridere insieme.

Mentre dal cielo scende una pioggierellina di quelle leggere che potrebbe continuare a scendere beata per ore ed ore, le due sembrano proprio due gocce di quella pioggia lì. Serene e imperturbabili, a parlare di figli, lavoro, salute… Passano di palo in frasca, proprio come solo le donne – soprattutto se amiche – san fare, e a suon di parole, oh, in una manciata di minuti recuperano giorni e settimane.

Mi preparo il pranzo sbirciandole dalla finestra, mentre le vedo lì, nel loro metro di distanza, e penso: le mascherine gli avranno pur impedito di riconoscersi, ma di sicuro non hanno tolto loro fiato. Da parte, infatti, sembrano averne davvero un bel po’ e in fondo, be’, niente di meglio che utilizzarlo in una bella chiacchierata tra amiche. Soprattutto se son settimane e mesi che non ti vedi.

Poi, come spesso succede, le parole prendono ad uscire più lentamente. Si fan più rade e si somigliano un po’ tutte, fino a quando, d’un tratto non si esauriscono. E così, proprio come era iniziata, la chiacchierata tra le due finisce. Una gran risata, un Ci si vede! e via, ognuna per la sua strada, a scivolare come piccoli raggi di sole nella pioggia.

***

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Stasera pizza!

È un mercoledì di quarantena, l’ennesimo, anche se oggi, curiosi di vedere il mondo là fuori, io e Francesco ci siamo lanciati nelle larghe trame della Fase 2 e siamo usciti a far due passi.

Giusto due, eh, ma vista l’immobilità delle ultime settimane, son comunque bastati per ridurci in brandelli. Al punto che per tirarci su, abbiam pensato servisse qualcosa di speciale: una pizza, ad esempio. E non una di quelle fatte da noi, improvvisandoci con acqua e farina insieme al resto del Paese. Ma una pizza vera, che sarebbe giunta fino in casa fumante e succulenta dentro un cartone da asporto.

Da qualche giorno la pizzeria sotto casa ha pure riaperto i battenti. Questo è un chiarissimo invito a nozze, ci siam detti. Così, un attimo più tardi ci ritroviamo sotto all’insegna luminosa che ne indica l’ingresso, ma un cartello rallenta inaspettatamente la nostra corsa. Si entra uno alla volta, dice.

Allora Francesco si affaccia cauto, poi, un po’ alla volta entra. Io invece resto fuori, ché uno, penso, vale per tutti, anche per noi che siamo insieme. Ma evidentemente penso male, perché sebbene sia lì ferma sulla porta, quasi a bloccare l’ingresso, una signora in là con l’età mi dribla da dietro e si lancia dentro. Né uno sguardo né un mi scusi… o che so, un permesso… men che mai un buonasera.

Io resto un attimo interdetta. Chissà, penso, forse è colpa mia, ché i contorni di ‘sta Fase 2 ancora non li ho ben chiari, ma a quanto vedo mi sembra che ognuno possa fare un po’ quel che diavolo gli pare. Ignorare gli altri, ad esempio, o saltare la fila… E infatti, manco a dirlo, un attimo dopo un ragazzo me ne da conferma, ché anche lui, senza dire pe, apre la porta e via, dentro.

Muah… Mi dico, ripensando a quando le nostre vite si svolgevano sui balconi, quando l’altro ci sembrava così vicino e ad unirci bastava un po’ d’acqua e farina. Quando le ricette le urlavi al vicino dalla finestra o perché no, al telefono, come quel signore di qualche settimana fa.

Oh – ha detto entusiasta a chissà chi – ho fatto l’impasto per la pizza e la schiacciata… Ma te ci metti il latte? … Si, il latte! … Ah, no?! … E i buchi? … Come che buchi? Quelli pe’ falla lievita’! … Eh! Li fa’ prima o dopo? …
E così via, per dieci minuti buoni, a parlare di prosciutto, pecorino e tanta altra roba buona da metterci su. Quelli sì che erano bei tempi!

Adesso che siam tornati liberi, invece, la gente non si dice più niente, e sebbene ci si muova a meno d’un metro l’uno dall’altro, be’, non ci si sente più veramente vicini a nessuno.

Quando la signora esce di là dentro con la sua pizza ed una birra mi guarda dritta negli occhi. Par quasi le dia noia, lì sul marciapiede. Ma io resto immobile, bella e buona dietro la mia mascherina. Che saran mai due passi in più, signora mia. Suvvia!

La segue a ruota Francesco. Basta uno sguardo per intenderci. Mentre gli sorrido, la signora è già a qualche metro da noi, intenta a filar via col suo bottino tra le braccia. La seguiamo con lo sguardo finché non gira l’angolo, poi d’un tratto svanisce. Puff!

Gnamo, va, che si fredda la pizza!

***

Se questa storia ti è piaciuta, leggi Per un tozzo di pane.
Scoprirai come sono nate le mie Storie alla finestra.


Capirsi

Sono le 8.30 di un sabato di quarantena, l’ennesimo, ed io starei ancora dormendo se la tipa del piano di sotto non avesse iniziato a cantare.

Felicità… felicitààààà…!! grida sotto di noi a squarciagola.
Così sobbalzo nel buio della mia camera, immaginando lei che impugna la scopa a mo’ di microfono e scaccia la polvere. Quanta grinta, penso, quanto entusiasmo per l’ora che è.

Io invece resto sotto coperta, ad ascoltare al buio la città che un po’ alla volta si risveglia: i colombi che tubano sui balconi, il 20 che si ferma sotto casa, una tapparella che si alza e ad un tratto, loro.

_Oh! – fa uno.
_Eh? – risponde l’altro.
_Ma che situazione…?
_Bah!
_Muah…

Poi, nient’altro.
Solo silenzio.

E in fondo bene così, ché nella vita, si sa, l’importante non è certo riempirsi la bocca di chissà quali parole, ma capirsi. Una roba che ai più può sembrare un’impresa, ma certo non a loro, ché a quanto pare son dei veri fuoriclasse e per capirsi, altro che parole, un paio di mugugni buttati fuori dalla finestra e rizzati!

Fase 2

È un lunedì mattina di quarantena, l’ennesimo, anche se va detto che negli ultimi giorni le cose sono un po’ cambiate. Dal Primo Maggio infatti si è dato il via alle passeggiate e così, complice il sole di questi giorni, nel fine settimana la gente si è riversata per le strade.

Il momento che i più stavano aspettando, però, non era tanto il primo di maggio ma questo lunedì 4: un giorno che tutti ricorderemo come l’inizio della cosiddetta Fase 2. Un qualcosa che ancora non ho ben inquadrato, ma che a giudicare dalle auto in doppia fila di stamani, be’, ho il sospetto che molti abbian preso per un bel Bomba Libera Tutti. Speriamoabbene, eh!

Le premesse, però, va detto, non son poi così tragiche. Sebbene siano le 9 passate, infatti, di gente in giro non se ne vede poi tanta. Per lo meno a piedi. Le auto, invece, non fanno altro che passare, passare, passare… e così, dico addio al silenzio irreale che nei due mesi appena trascorsi mi ha fatto compagnia. È bastata una notte perché svanisse e ahimè, credo per sempre.

Mentre aspetto che il caffè sia pronto, cerco di abituarmi alla novità, ascoltando ad occhi ancora abbottonati la città che torna alla vita: bandoni che si alzano, motorini che sfrecciano, qualcuno che si saluta dopo giorni o settimane…

Un brusio a cui si fa presto ad abituarsi. Ma ad un tratto, un rumore sovrasta gli altri. È uno sportello che si chiude. Sbam!
Anzi due. Sbam! Sbam!

Dalla finestra vedo due furgoncini, che se ne stanno in mezzo alla strada uno dietro l’altro, e due uomini che si guardano intorno. Prima a destra, poi a sinistra, poi di nuovo a destra. Non è chiaro chi o cosa stiano cercando, fino a quando uno dei due non apre bocca: Dev’essere questo, fa, indicando uno dei cassonetti blu per la raccolta di vetro e plastica.

Così, senza pensarci un attimo, l’altro si avventa su quel coso tentando di rimetterlo a posto a suon di spallate. Il cassonetto è così pieno che non si schioda d’un millimetro, ma lui non demorde. Poi però, l’altro si avvicina e lo prende per un braccio. Aspetta, no – fa – la segnalazione era al numero 5*.

E così, si spostano entrambi dall’altra parte della strada, proprio davanti a quel numero civico. Dev’essere uno di questi, dicono. E così riparte la ricerca.

Potrei stare a guardarli per ore, ma li lascio fare, ché la moka ha preso a borbottare. Il mio pensiero, però, resta là fuori, con loro e con i tanti sceriffi di quartiere, che adesso che le persone han riacquistato un po’ di libertà, oh, mi sa che non se la cavano mica poi tanto bene. E così, nell’impossibilità di segnalare gli esseri umani, si buttano su altro. Oggi, ad esempio, è toccato a un cassonetto.
Domani, chissà…

La bocca della verità

È una domenica di quarantena, l’ennesima, anche se, va detto, le cose non son più come una volta.

Da un paio di giorni, infatti, le maglie della rete che per quasi due mesi ci ha costretti in casa si sono un po’ allargate. Adesso, ad esempio, son permesse pure le passeggiate – oh, anche per chi non ha figli o cani… incredibile – e così, oggi, la gente si è riversata in strada. Be’, vorrei vedere, con questo bel sole!

Io, a dire il vero, son rimasta a casa, tra le mie quattro mura con Francesco, ma questo non mi ha certo tagliato fuori dal risveglio della città. È bastata una manciata di ore, infatti, perché le strade tornassero a riempirsi di sorrisi, brusii… Roba a cui non ero più abituata – per lo meno non in questa quantità – ma che ammetto, per quanto abbia ascoltato da quassù con un po’ di diffidenza, è riuscita a trasmettermi una profonda voglia di vivere. La stessa che ho io, eh, sebbene abbia passato la mia domenica sul divano.

E poco importa se il ritorno alla normalità prevede anche l’inevitabile riversarsi in strada di auto e moto. Oh, in qualche modo son vita pure quelle. Un po’ come le voci, che di tanto in tanto, staccano il brusio di fondo e si scagliano nitide e convinte verso l’alto, riuscendo ad entrare persino in casa.

Una, in particolare, mi ha raggiunta in camera che erano quasi le 18, squillante e tendente allo sfinimento, come solo quella di un bambino può essere a quest’ora di domenica: Babboooo… Si va a casa??!!

Un grido di ribellione, che ha la meglio su tutto e tutti, anche su di me, che appena lo sento inizio a ridere da sola sul letto, mentre penso, ecco il mio eroe, alla faccia di chi diceva che erano i bambini ad aver bisogno dell’aria aperta!

Nuove tendenze

Sono le 8 di un martedì di quarantena, l’ennesimo, quando mi affaccio alla finestra e scopro che il cielo oggi si è tinto d’un colore decisamente diverso dall’azzurro che nei giorni scorsi aveva saputo darci un assaggio di primavera.

È vero, siamo chiusi in casa e in fondo chissene del tempo che fa, ma sapere che là fuori la primavera sta comunque facendo il suo corso – con o senza di noi – è una cosa che riesce incredibilmente a tirarmi su.

Oggi però non c’è traccia di primavera. Fuori è tutto grigio e regna il solito silenzio, quello in cui ormai son così immersa che appena qualcuno parla un po’ più forte, oh, mi par d’aver a che fare con un martello pneumatico. Uno di quelli che un tempo trapanavano convinti l’asfalto ed i timpani, costringendoti ad accelerare il passo o a cambiare lato della strada.

Adesso che in giro non ci siamo più neanche noi, figuriamoci se ci sono i martelli pneumatici… Ma se solo guardiamo fuori ci si accorge che le strade son tutt’altro che vuote. A farla da padrona però non son più le auto, gli scooter, i bus… Ma i piccioni, che tra un volo e l’altro tra alberi e balconi, non disdegnano di tanto in tanto una passeggiata sull’asfalto. Adesso, poi, che possono farlo quasi del tutto indisturbati…

A vederli zampettare sereni come delle Pasque, viene da chiedersi come vivranno il momento in cui torneremo a riappropriarci delle strade e li scacceremo da lì. Ci sarà da preoccuparsi, belli miei, mica come adesso, che al massimo v’imbattete nei runner.

Anche loro in questi giorni ne han guadagnato in sicurezza e infatti, dopo essersi liberati dal traffico d’un tempo e dagli sceriffi di quartiere, han ripreso a correre e stavolta in mezzo alla strada, come se nulla fosse.

Il momento che preferiscono per farlo è il mattino, quando i più ancora dormono. E così, a certe ore del giorno in giro non ci sono altro che loro: runner e piccioni, che tirano dritti verso chissà dove, senza guardare in faccia niente e nessuno.

Ma nella vita, si sa, talvolta può capitare che le linee rette che siamo intenti a tirare vengano interrotte. Proprio come in questa mattina uggiosa, in cui ad un tratto, mentre un runner e un paio di piccioni vagano indisturbati per la via, ecco che spunta un anziano e così, all’aria tutti piani!

Ultimamente, infatti, da queste parti le persone d’una certa età han preso a camminare in modo bizzarro: cambiano di continuo marciapiede, adoperandosi in uno zig zag che per far dieci metri in linea d’aria – roba che ad un essere normale richiederebbe si e no una manciata di secondi – oh, a loro ci vogliono cinque minuti buoni. E se poi ci son pure runner e piccioni a bloccare il passaggio, be’, i minuti posson diventare anche sei. Ma loro non si scompongono, anzi, pare che più ci mettono meglio è, ché la giornata in qualche modo deve pur passare.

Allora resto lì, ad osservare questa curiosa invasione di campo, che giunge inaspettata a rallentare il passo del runner e pure dei piccioni. Il giovane prende a saltare sul posto, ma giusto un attimo, eh, che l’incrocio di sguardi non dura più d’un secondo. L’anziano, infatti, senza fermarsi snoda le braccia da dietro la schiena, alza una mano per ringraziare e si butta in avanti a testa bassa.

I piccioni, spaventati, volano via; il runner si ferma, si piega in avanti e riprende fiato. L’unico che sembra non essersi accorto di niente è proprio lui, l’anziano, che anche se inizia a cadere qualche goccia di pioggia, chissene. Una sistemata al cappello, le mani che tornano ad annodarsi dietro la schiena ed eccolo di nuovo a ballare l’Alligalli. Tre passi a destra, tre a sinistra. Uno indietro a prendere la rincorsa e via, avanti, verso l’infinito ed oltre.

Del resto, anni e anni di balera saran pur serviti a qualcosa, no?

Il ritmo della domenica

È una domenica mattina di quarantena, l’ennesima, quando una voce rompe il silenzio assolato che regna là fuori. Grida convinte, che sebbene bussino intermittenti ai vetri delle finestre, riescono comunque a scuotermi dal torpore in cui mi trovo da un paio d’ore, come ipnotizzata davanti al monitor del mio pc.

Tanto vale alzarsi e sgranchirsi un po’, penso. Così mi affaccio alla finestra e sento che quell’andirivieni di parole vien proprio da sotto di me, roba che potrei fare una capriola e ritrovarmi anch’io ad urlare a squarciagola insieme a quella donna le più belle hit italiane degli anni 80.

Èèè… l’amico èèè… Grida a squarciagola. E mentre canta si sposta da una stanza all’altra, regalando a tutto il vicinato un effetto da far invidia alle famose canzoni in 8D che nelle scorse settimane han preso a girare in rete.

Mentre lei salta da un pezzo all’altro, io torno indietro nel tempo, a quando La notte vola si ballava di notte, con i lustrini addosso ed un gin tonic in mano, mica come adesso, che lo si fa in pigiama durante le ormai quotidiane pulizie di casa.

Certo che i tempi son proprio cambiati… e adesso che splende questo bel sole e in giro non si vede anima viva, quelle notti sembrano ancora più lontane, quasi come se non le avessi mai vissute e come se i ricordi che mi pizzicano la mente appartenessero a qualcun’altro.

Allora me ne sto un po’ lì, poggiata alla finestra con la mente chissà dove, quando d’un tratto quella voce di donna vien surclassata da qualcosa di ancora più convinto.
È il ritmo caraibico sparato a tutto volume dalla terrazza dei miei vicini, quelli del Sudamerica, capace in un attimo di mettere a tacere i ricordi e riempire l’aria d’intorno con un’energia frizzante che da a tutti il buongiorno.

Si riscuote dal torpore persino il signore che abita nel palazzo davanti, il quale fino ad ora era rimasto disteso sul suo balcone come una lucertola al sole, cappello di paglia in testa e indosso un sobrissimo costume a slip – alla faccia delle cabine di plexiglass dell’estate 2020-, mentre adesso ha anche lui lo sguardo rivolto ai Caraibi.

Del resto di questi tempi il bisogno di ritrovarsi altrove è tale che a quel ritmo non solo permettiamo volentieri di entrarci in testa, ma anche nel corpo. Così, un po’ alla volta, le finestre intorno si aprono e le persone si scoprono incapaci di star ferme, ognuna come può a muovere il bacino.
Lo muovo pure io, ormai ai Caraibi insieme a loro, lontana da Coverciano e da questi palazzi, che si son fatti spiaggia dorata.

Il sole sbatte in faccia un po’ a tutti, tranne a noi che siamo esposti a Nord, ma la brezza del mare… Be’, quella arriva fin qui, e mentre sballettiamo all’ombra dell’enorme ombrellone che è il tetto sulle nostre teste, un desiderio sorge spontaneo: un mojito, please.

La mascherina

È un giovedì pomeriggio di quarantena, l’ennesimo, quando metto finalmente piede fuori casa.
Non capita spesso negli ultimi tempi – una/due volte a settimana – ed il motivo è sempre lo stesso, scritto a chiare lettere sull’autocertificazione: LAVORO.

Nel silenzio delle 13.30 il sole mi sbatte in faccia caldo e per niente intimidito, ben diverso da quando ormai 38 giorni fa tutta ‘sta storia ha avuto inizio.

È un attimo ed il cancello si chiude alle mie spalle, sbam, impaziente di sputarmi fuori, ma io resto immobile dietro la mia mascherina, a chiedermi: dove diavolo l’avrò messa la macchina?

Son passati diversi giorni, infatti, da quando l’ho usata l’ultima volta ed ora sono qui che mi guardo intorno e mi sforzo con tutta me stessa per richiamare all’ordine i ricordi.

Immagini si susseguono nella mia mente l’una dietro l’altra – il bar, la scuola, la Coop…-, quando le voci di due uomini attirano la mia attenzione. Se ne stanno poco più in là, uno sul balcone e l’altro in strada – anche lui mascherato come me -, che ridono e scherzano. Allora, sarà che son le uniche due anime vive nel deserto che è la città in questi giorni – soprattutto all’ora di pranzo – ma mi viene spontaneo spingermi verso di loro.

Sul balcone sventola un bel tricolore e c’è anche una signora in là con l’età che un po’ alla volta ha raggiunto la ringhiera; ora la stringe tra le mani e si abbandona quieta su di essa a faccia all’insù ed occhi chiusi, lasciandosi accarezzare dal sole.

Quando passo di lì sotto, i due uomini si voltano verso di me e mi salutano gentili, così ricambio con piacere: un cenno della testa e una bella strizzata di occhi, ché s’abbia a vedere che sono una buona vicina e dietro alla mascherina gli sto sorridendo.

Questo breve incontro mi da la giusta motivazione per saltare in auto e partire, pronta a fare al meglio il mio dovere. Quando però mi ritrovo sotto a quel balcone – stavolta in auto – mi accorgo che qualcosa è cambiato. Le voci infatti si son fatte grosse e anche piuttosto serie. Allora rallento un po’, abbasso la musica e butto giù il finestrino.

“Ora scendo e tu vedi!”, grida il tipo dalla terrazza. Un po’ stupita mi volto verso l’interlocutore, che però scopro non essere più quello di prima, ma un ragazzo che avrà si e no 25 anni e che, solo in mezzo all’incrocio e sprovvisto di mascherina, gli risponde per niente intimorito: “Oh vieni! – grida – Vieni giù a dillo!”.

La mascherina. Dev’essere quella la questione che il tipo del balcone non riesce proprio a mandar giù e così ribadisce: “Tu fai anche i’grosso?! Ma braaavo… Braaavo…” e mena le mani in aria, come a voler dire che se solo ce l’avesse a portata gliele avrebbe già messe addosso. Be’, per fortuna vige il distanziamento sociale.

Anche se le botte se le danno solo a parole, la gente inizia comunque ad affacciarsi alle finestre. Si affaccia persino Francesco, ché sebbene si trovi a qualche centinaio di metri da lì, quelle grida son così convinte da buttarlo giù dal divano.

Mentre l’attenzione di tutti è ormai rivolta a quei due, la signora di fianco sembra però non essersi accorta di nulla. Se ne sta al sole, faccia all’insù e occhi chiusi, esattamente come poco prima, con la stessa espressione impassibile e beata, come a dire, fate quel che vi pare, prendetevi pure a mazzate, basta che non rompete le scatole a me.

Vederla da quaggiù è uno spettacolo, tanto che sebbene la scena abbia del grottesco non riesco davvero a non ridere, ma appena lo faccio, d’istinto afferro la mascherina che avevo appena posato sul seggiolino di fianco e me la metto di nuovo.

La cosa non ha alcun senso, lo so – sono in auto e pure da sola – ma sebbene quelli che stiamo vivendo siano tempi eccezionali, be’, la regola resta sempre la stessa: meglio ave’ paura che buscanne. Qua sotto, poi…