il Venerdì _ 03/2023

Per il Venerdì di marzo mi era balenata in testa l’idea di scrivere qualcosa sulle donne con cui lavoro.
Penserete che banale, scrivere di donne proprio nel mese della festa internazionale a loro dedicata. In un primo momento l’ho pensato anch’io, così mi son presa un po’ di tempo prima di farlo; giusto quel mesetto perché potesse venirmi in mente altro di cui scrivere.

Poi, neanche a farlo apposta, qualche giorno fa è accaduta una cosa che inaspettatamente ha riportato la mia attenzione proprio sulle donne. E allora, mi son detta, donne siano!

Ero a lavoro e come spesso accade stavo procedendo a dei richiami telefonici per sollecitare il rientro di alcuni mancati pagamenti.
Uno dei pazienti sulla mia lista quel giorno doveva saldare 70€, lasciate in sospeso dopo aver fatto un’estrazione a gennaio e non essere più tornato.

L’uomo, da prima ha risposto senza problemi, ma quando ha capito il motivo della mia chiamata ha letteralmente dato di matto. Prima ha gridato “Ma non vi vergognate a chiamarmi per 70€?!” poi, biascicando sproloqui in un misto di italiano e rumeno ha aggiunto “Io vengo quando voglio, quando avrò i soldi. E non mi chiamate più!”.

Ora, premesso purtoppo che questo non è né il primo né l’ultimo cafone prepotente con cui ho avuto/avrò a che fare in questa vita, va detto che una parte di me lo ringrazia perché, nonostante la mia iniziale incredulità davanti al suo repentino voltafaccia, mi ha dato lo spunto per affrontare un argomento che con le donne c’entra eccome, anche se per rimpallo, ed è la misoginia.

Penserete, che esagerata… Invece no. Perché quello stesso soggetto che mi ha urlato al telefono è lo stesso che quando si era presentato in studio dolorante aveva preteso che a curarlo fosse un uomo perché lui, le donne, non le considera all’altezza di quel compito. A suo dire, infatti, le donne devono fare altro e soprattutto devono stare al loro posto (…che a quanto pare dev’essere quello che indica lui) senza permettersi di alzare la testa e men che mai di metterlo davanti a un torto, chiedendogli ad esempio soldi per un servizio di cui ha usufruito ma che lui si prende la libertà di non voler pagare.

Per questo parlo di misoginia e lo faccio a ragion veduta, perché non è la prima volta che con le mie colleghe ci accorgiamo di come alcuni uomini, proprio perché si trovano davanti ad una donna, si lasciano andare a reazioni esageratamente prepotenti e autoritarie, addirittura violente.

Un uomo, ad esempio, un giorno è venuto in studio tutto arrabbiato gridando “Voglio parlare con la dottoressa subito o questa protesi che la m’ha fatto gliela sbatto in faccia!”.

Sia ben chiaro, con tutta la gente che ho visto e sentito in questi anni ho smesso d’impressionarmi da tempo di ciò che può uscire da certe bocche, ma espressioni del genere non possono lasciarmi indifferente per la loro violenza inopportuna.
Gliela sbatto in facciaMa gliela sbatto in faccia cosa???
Cafone!

Ma le donne, ho imparato a capirlo, al cospetto di certi sguardi son sempre un gradino sotto. E infatti sono certa che se di fronte a loro, invece di una dottoressa ci fosse un dottore, col cavolo che quegli stessi soggetti si esprimerebbero in un simile modo.

E’ triste, lo so, ma pur essendo nel 2023 la realtà è ancora questa. Bisogna prenderne atto per lavorarci su con impegno e costanza, perché il velo d’ignoranza che certe persone hanno davanti agli occhi e che pericolosamente tramandano a chi gli sta accanto, rischia di minare l’entusiasmo e la vitalità di tante donne che nel lavoro colgono l’opportunità di esprimere al meglio se stesse.

Una delle più grandi fortune che ritengo di avere in questo momento sono proprio le donne con cui condivido le mie giornate lavorative. Scompigliate e sempre di corsa – divise tra casa, famiglia, lavoro… e chi più ne ha più ne metta – per far sì che tutto fili il più liscio possibile, ma comunque intraprendenti e instancabili.

Siamo tante, con età ed esperienze diversissime, e questo lo ritengo un prezioso valore aggiunto. Oltre a non annoiarsi mai, infatti, questa diversità offre a tutte noi l’opportunità di un confronto continuo e autentico. E ognuna, spronata dall’esperienza dell’altra, è sempre pronta a mettersi in gioco, a rinnovarsi, a rompere gli schemi, senza né remore né timori.

Sono convinta che di questa energia, positiva ed eccezionalmente creativa, ce ne sia davvero un gran bisogno (alla faccia di chi ci vorrebbe privare di tutta la nostra vitalità). Soprattutto al giorno d’oggi, dove a prevalere sembra invece essere il sopruso sull’altro.

Va da sé, quindi, che a noi tutte, come si dice dalle mie parti: d’un poraccio misogino ce ne frega una sega! Per andare avanti, però, e per di più farlo al meglio è importante non abbassare la guardia. E così, quando l’altro giorno un signore si è avvicinato a me e alla mia collega e ci ha detto in tono sprezzante “Queste mascherine vi donano” ho pensato subito che stesse alludendo al fatto che ci mettessero a tacere. Ero pronta a rispondere a tono, ma prima che riuscissi a dire qualcosa lui ha aggiunto “Vi risaltano gli occhi, così belli e sorridenti”.

Sorpresa, gli ho sorriso restando in silenzio. Per questa volta l’abbiamo scampata… Allora non tutto è perduto, c’è della speranza!

il Venerdì _ 53

Se solo la gente si rendesse conto cosa significa di questi tempi avere a che fare con la gente, saremmo già un bel pezzo avanti.
Con questo non intendo certo dire che sarebbe tutto facile. No. Non oserei mai azzardare tanto. Ma son certa che un po’ di consapevolezza in più aiuterebbe, soprattutto di questi tempi, in cui lo sport nazionale sembra esser diventato il lancio dei propri problemi e delle proprie pesantezze sugli altri. Effetto forse del prolungato stop del calcio, chissà…

Be’, per fortuna tra un po’ ripartirà anche quello, così torneremo a sfogare gli animi come facevamo un tempo, da allenatori da divano, senza il bisogno di mostrarsi per forza tuttologi in tutto, mettendo bocca nel lavoro degli altri come fosse il nostro, quando noi quel lavoro lì non l’abbiamo manco mai fatto.

Questo è quello che mi capita più spesso ultimamente, ovvero che la gente mi dica come devo fare ciò che ormai faccio da dodici anni. Ebbene si, non uno o due, ma ben dodici. E ok che nella vita non si finisce mai d’imparare, ma per lo meno concedetemi la libertà di voler imparare da chi dico io, e non da chi vuol dettare regole e tempi solo perché oggi va di fretta o chissà cosa.

Io e le mie colleghe non facciamo altro che risolvere problemi da mattina a sera, e mi sembra di poter dire che siamo piuttosto brave a farlo, visto che ce ne pongono di nuovi ogni giorno. Il che, va detto, regala a tutte noi grandi soddisfazioni, assieme però ad un bel carico di fatiche, ché credetemi, esser sempre sul pezzo richiede energie. E se poi ci si mettono pure gli altri ad aumentare il livello di difficoltà, va a finire che lavorare a volte diventa una vera e propria impresa, roba che a fine giornata ti trascini verso il divano confidando in una dilatazione temporale che ti conceda ore sufficienti a recuperare le energie che anche oggi hai speso sul campo.

Di queste fatiche ne porto i segni addosso. E così, anche se ormai il massimo dello sport che faccio è guardare i canestri di Jordan, Pippen e Rodman su Netflix, senza accorgermene mi son ritrovata ad andare contro corrente, perdendo chili mentre tutti ne accumulavano.

Non c’è paziente che non mi chieda come abbia fatto, in questi tempi di quarantena e farina 00. E quando me lo chiedono temporeggio un po’, quasi indispettita, poi dico, be’, passate un paio d’ore da queste parti – tra telefoni che squillano, pazienti che vanno di fretta, protocolli che cambiano di ora in ora… – e vedrete che tornare in forma è un attimo.

Nonostante i chili persi e la fatica, però, mi reggo ancora in piedi, ché per fortuna il mondo è bello perché vario, così come le persone. E devo dire che in tema di persone questa fase 2 mi ha regalato grandi sorprese, mostrandomi il lato più umano di persone da cui, lo ammetto, non mi sarei mai aspettata tanta comprensione e vicinanza.

Tra queste, di sicuro, non c’è la signora Carla. E non perché non sia comprensiva ed umana, bensì perché il fatto che lo fosse mi era ben chiaro anche prima di questa storia che ha complicato l’esistenza un po’ a tutti. Persino a lei, che nonostante la sua età trova il tempo di preoccuparsi per me, tanto che l’altro giorno mi ha cucito una mascherina con le sue mani e me l’ha portata fino in studio: Ché va bene prendersi cura degli altri – m’ha detto – ma bisogna che tu ti prenda cura anche di te, Cocca!

Quando penso a che senso abbia trascorrere le giornate in balia degli altri, talvolta vacillo un po’, ma poi mi tornano in mente persone così, che il mondo te lo fanno vedere a colori, e penso, fanculo a chi fa di tutto per rendere la vita del prossimo un inferno, ché nonostante tutto ci sarà sempre qualcuno per cui vale la pena tenere duro e la Carla è di sicuro una di queste, e poi, oh, detto tra noi, ma dove la ritrovo io una che alla mia età mi chiama ancora Cocca?

Illustrated ladies by Caitlynmurphy

il Venerdì _ 51

Di quello che è il mio lavoro e di ciò che mi capita di vedere e sentire quando sono all’opera, ne parlo quasi ogni venerdì da ormai più di un anno.

Ma questo è un venerdì particolare, che mi piace pensare non sia un caso che quest’anno abbia scelto di coincidere proprio con il Primo Maggio, festa dei lavoratori.

Dev’essere per questo che il mio cervello ha deciso di prendersi una pausa, oggi, mettendo così a tacere tutti i pensieri che ultimamente mi si assembrano in testa e ai quali, son sempre più convinta, dovremmo estendere le regole del distanziamento. Dar loro voce uno alla volta, ad esempio, ed imporre un senso unico di circolazione, indicando una via d’uscita diversa da quella di entrata, così da evitare sovrapposizioni.

Ma se far rispettare certe regole alle persone è stata – ed è tuttora – un’impresa, figuriamoci come sarebbe far lo stesso con i pensieri, che per natura tendono ad accavallarsi gli uni sugli altri, proprio come in mezzo al pogo di un concerto punk.

Ecco, ormai quando sono a lavoro nella mia testa è un continuo pogo, dove però a saltar l’uno su l’altro non sono i corpi accaldati e appiccicosi di ragazze e ragazzi con una birra in mano, ma attenti e meticolosi passaggi di sanificazione.

Ahhh… I tempi son proprio cambiati. E così, le cose che fino a due mesi fa facevamo quasi senza accorgercene, oggi le abbiam scomposte a tal punto da conoscerle fin nei minimi dettagli e il tutto non certo per curiosità, ma per sanificare, sanificare e sanificare!

Metti i guanti, togli i guanti.
Metti la pellicola, togli la pellicola.
Il gel! Accidenti, ha passato un po’ di gel sulle mani? Gliel’avevo già detto? Si, gliel’avevo detto… Oppure no?
Vabbè, e le scarpe? Se l’è ben pulite le suole all’ingresso?
Ahh!! Senza mascherina qua non si entra!!


Etc etc

Insomma, lavorare con tutte ‘ste voci in testa è una gran fatica, ma se oggi son qui a parlarne non è certo per lamentarmi. Tutt’altro. Le fatiche e le difficoltà che questa sfida han sottoposto a tutti noi, infatti, son riuscite a darmi l’ennesima dimostrazione di quanto fortunata sia a poter dire di avere un lavoro e soprattutto, visto come stanno andando le cose in generale, di averlo ancora.

Certo qui non si tratta solo di fortuna, ma anche di unità e d’impegno, quello che ognuno di noi ha dimostrato per far sì di restare a galla e non venir risucchiati dall’onda violenta che si è riversata sull’intero Paese.

Non è facile, certo, e non sarà neanche breve, ma almeno per oggi metto a tacere i pensieri e lascio libertà di parola solo alla gratitudine, quella che provo verso le colleghe ed i colleghi che in questi giorni, si son fatti un mazzo, oh, ma un mazzo… che credetemi, metà basterebbe.

Questo venerdì, quindi, non può che essere per voi, per il vostro impegno, per le alzate di testa ma anche per i sorrisi e le boccate d’aria fuori dalla mascherina; per il sole che mi sembra la cosa più bella del mondo quando finalmente mi sbatte in faccia a fine turno mentre faccio due chiacchiere con la Sarina.

E infine, per il lavoro, che vuoi o non vuoi, oh, da queste parti si dimostra sempre capace di dar ben più d’uno stipendio.

Il quarto stato