il Venerdì _ 51

Di quello che è il mio lavoro e di ciò che mi capita di vedere e sentire quando sono all’opera, ne parlo quasi ogni venerdì da ormai più di un anno.

Ma questo è un venerdì particolare, che mi piace pensare non sia un caso che quest’anno abbia scelto di coincidere proprio con il Primo Maggio, festa dei lavoratori.

Dev’essere per questo che il mio cervello ha deciso di prendersi una pausa, oggi, mettendo così a tacere tutti i pensieri che ultimamente mi si assembrano in testa e ai quali, son sempre più convinta, dovremmo estendere le regole del distanziamento. Dar loro voce uno alla volta, ad esempio, ed imporre un senso unico di circolazione, indicando una via d’uscita diversa da quella di entrata, così da evitare sovrapposizioni.

Ma se far rispettare certe regole alle persone è stata – ed è tuttora – un’impresa, figuriamoci come sarebbe far lo stesso con i pensieri, che per natura tendono ad accavallarsi gli uni sugli altri, proprio come in mezzo al pogo di un concerto punk.

Ecco, ormai quando sono a lavoro nella mia testa è un continuo pogo, dove però a saltar l’uno su l’altro non sono i corpi accaldati e appiccicosi di ragazze e ragazzi con una birra in mano, ma attenti e meticolosi passaggi di sanificazione.

Ahhh… I tempi son proprio cambiati. E così, le cose che fino a due mesi fa facevamo quasi senza accorgercene, oggi le abbiam scomposte a tal punto da conoscerle fin nei minimi dettagli e il tutto non certo per curiosità, ma per sanificare, sanificare e sanificare!

Metti i guanti, togli i guanti.
Metti la pellicola, togli la pellicola.
Il gel! Accidenti, ha passato un po’ di gel sulle mani? Gliel’avevo già detto? Si, gliel’avevo detto… Oppure no?
Vabbè, e le scarpe? Se l’è ben pulite le suole all’ingresso?
Ahh!! Senza mascherina qua non si entra!!


Etc etc

Insomma, lavorare con tutte ‘ste voci in testa è una gran fatica, ma se oggi son qui a parlarne non è certo per lamentarmi. Tutt’altro. Le fatiche e le difficoltà che questa sfida han sottoposto a tutti noi, infatti, son riuscite a darmi l’ennesima dimostrazione di quanto fortunata sia a poter dire di avere un lavoro e soprattutto, visto come stanno andando le cose in generale, di averlo ancora.

Certo qui non si tratta solo di fortuna, ma anche di unità e d’impegno, quello che ognuno di noi ha dimostrato per far sì di restare a galla e non venir risucchiati dall’onda violenta che si è riversata sull’intero Paese.

Non è facile, certo, e non sarà neanche breve, ma almeno per oggi metto a tacere i pensieri e lascio libertà di parola solo alla gratitudine, quella che provo verso le colleghe ed i colleghi che in questi giorni, si son fatti un mazzo, oh, ma un mazzo… che credetemi, metà basterebbe.

Questo venerdì, quindi, non può che essere per voi, per il vostro impegno, per le alzate di testa ma anche per i sorrisi e le boccate d’aria fuori dalla mascherina; per il sole che mi sembra la cosa più bella del mondo quando finalmente mi sbatte in faccia a fine turno mentre faccio due chiacchiere con la Sarina.

E infine, per il lavoro, che vuoi o non vuoi, oh, da queste parti si dimostra sempre capace di dar ben più d’uno stipendio.

Il quarto stato

il Venerdì _ 50

Nella vita non si sa mai quel che ci tocca. Ci son settimane che filano via con una facilità da non credere e poi, be’, ce ne sono altre, tipo questa, che è iniziata con una sonora pedata nel culo, SBAM, giunta improvvisa a scuotermi dal torpore della quarantena. E in un attimo, ben tornata alla realtà.

Be’, ben tornata si fa per dire. Se c’era una cosa, infatti, che temevo sin dall’inizio era proprio questa: il tornare alla realtà scoprendo che da tutto ‘sto casino non abbiamo imparato un bel niente, ritrovando ahimè ognuno solo più uguale al se stesso di prima.

Niente occhi nuovi o nuovi cuori… Per quel che ho visto in questi giorni, infatti, i buoni son solo diventati più buoni, così come gli altruisti, gli ottimisti e i gentili. Il che non sarebbe poi male, se non fosse che lo stesso vale anche per i furbi, gli arroganti, per quelli che avrebbero di sicuro saputo far meglio ma al solito, oh, han fatto fare tutto a te per poi puntare il dito. Già… vale anche per loro, per quei tipi polemici, che polemici erano e polemici rimangono, solo che adesso – dopo esser stati repressi per giorni e giorni – han raggiunto un livello superiore, diventando così dei veri Super Saiyan della polemica.

Io non so come, ma ogni volta che ho a che fare con persone così il mio cervello se ne esce con un Bona, ci sì! e da forfait.
Il che, detto tra noi, non è proprio il massimo visto che mi occupo di pagamenti. Per fortuna, però, in studio l’hanno capito che questo rischio, noi della segreteria, non lo possiamo proprio correre, allora, per proteggerci – non solo da simili minacce, visti i tempi che corrono – da qualche giorno ci han messe tutte sotto vetro. O meglio… sotto plexiglass, e adesso passiamo le giornate in una dimensione altra, che per quanto sia diversa dall’isolamento della quarantena, ci permette comunque di osservare ed ascoltare il mondo a debita distanza.

A dire il vero, là dentro, qualcosa dall’esterno arriva eccome. Il telefono, ad esempio, ma fino ad ora ha portato solo cose buone.

Mi viene in mente la signora Anna, che l’altro giorno ha chiamato per spostare il suo appuntamento.
“Icchė le dico, signorina? – ha esordito – e c’ho 83 anni, son du’mesi so’ chiusa in casa. Per fortuna che ‘i pizzicagnolo l’ho proprio davanti… figurassi, l’è lui a chiamammi la mattina per chiedere d’icché ho bisogno”.

E senza darmi modo di poter intervenire, ha preso a raccontarmi le sue giornate, passate un po’ come tutti tra cucina e salotto, solo che lei di anni ne ha 83, ha ribadito, per poi sorridere imbarazzata: “Du’mesi sola in casa, mammini… e’mi so’ ritrovata anche a parlare con la televisione, guardi!”.

Così ho sorriso anch’io, ché di questi tempi i motivi per sorridere non son mai abbastanza. “E che sarà mai!”, le ho detto.
“Mah… – ha ripreso – se lo dice lei che l’è giovane, la mi tira su. Eppure oh, finché Dio mi tiene su questa Terra, che le devo dire? Io ci sto, e se questo vol dire ritrovammi a parlare con la televisione, vorrà dire che parlerò con la televisione”.

Non fa una piega, mi son detta mentre l’ascoltavo tirare in ballo Dio ed i piani che aveva in serbo per lei. Giorni di solitudine, magari qualche attimo di tristezza o smarrimento, ma anche gratitudine, si, verso il pizzicagnolo che l’aiuta ogni giorno e anche verso di me, che son stata ad ascoltarla parlare e ridere di gusto. Che spasso di donna!

E così, mentre ridevo insieme a lei, d’un tratto mi son sentita felice e al sicuro, tanto da spazzar via i malumori di poco prima e rendermi conto che non per tutti l’esser rimasti uguale a se stessi è un male. Prendiamo la vita, ad esempio, capace ancora di regalare dopo ogni pedata nel culo un buon motivo per risollevarsi.

Per questo, alla faccia di chi vorrebbe spegnere cervelli ed entusiasmo, le ringrazio entrambe, la vita e la signora Anna, per esser venute in mio soccorso a ricordarmi che là fuori – al di là delle nostre case o di questo strano acquario nel quale mi trovo adesso – ci sono ancora un sacco di cose belle. Cose capaci di far sorridere, sognare, di darci ossigeno quando ne abbiam più bisogno e per le quali vale senz’altro la pena di resistere. Sempre.

Lisandro Rota