La bocca della verità

È una domenica di quarantena, l’ennesima, anche se, va detto, le cose non son più come una volta.

Da un paio di giorni, infatti, le maglie della rete che per quasi due mesi ci ha costretti in casa si sono un po’ allargate. Adesso, ad esempio, son permesse pure le passeggiate – oh, anche per chi non ha figli o cani… incredibile – e così, oggi, la gente si è riversata in strada. Be’, vorrei vedere, con questo bel sole!

Io, a dire il vero, son rimasta a casa, tra le mie quattro mura con Francesco, ma questo non mi ha certo tagliato fuori dal risveglio della città. È bastata una manciata di ore, infatti, perché le strade tornassero a riempirsi di sorrisi, brusii… Roba a cui non ero più abituata – per lo meno non in questa quantità – ma che ammetto, per quanto abbia ascoltato da quassù con un po’ di diffidenza, è riuscita a trasmettermi una profonda voglia di vivere. La stessa che ho io, eh, sebbene abbia passato la mia domenica sul divano.

E poco importa se il ritorno alla normalità prevede anche l’inevitabile riversarsi in strada di auto e moto. Oh, in qualche modo son vita pure quelle. Un po’ come le voci, che di tanto in tanto, staccano il brusio di fondo e si scagliano nitide e convinte verso l’alto, riuscendo ad entrare persino in casa.

Una, in particolare, mi ha raggiunta in camera che erano quasi le 18, squillante e tendente allo sfinimento, come solo quella di un bambino può essere a quest’ora di domenica: Babboooo… Si va a casa??!!

Un grido di ribellione, che ha la meglio su tutto e tutti, anche su di me, che appena lo sento inizio a ridere da sola sul letto, mentre penso, ecco il mio eroe, alla faccia di chi diceva che erano i bambini ad aver bisogno dell’aria aperta!

Nuove tendenze

Sono le 8 di un martedì di quarantena, l’ennesimo, quando mi affaccio alla finestra e scopro che il cielo oggi si è tinto d’un colore decisamente diverso dall’azzurro che nei giorni scorsi aveva saputo darci un assaggio di primavera.

È vero, siamo chiusi in casa e in fondo chissene del tempo che fa, ma sapere che là fuori la primavera sta comunque facendo il suo corso – con o senza di noi – è una cosa che riesce incredibilmente a tirarmi su.

Oggi però non c’è traccia di primavera. Fuori è tutto grigio e regna il solito silenzio, quello in cui ormai son così immersa che appena qualcuno parla un po’ più forte, oh, mi par d’aver a che fare con un martello pneumatico. Uno di quelli che un tempo trapanavano convinti l’asfalto ed i timpani, costringendoti ad accelerare il passo o a cambiare lato della strada.

Adesso che in giro non ci siamo più neanche noi, figuriamoci se ci sono i martelli pneumatici… Ma se solo guardiamo fuori ci si accorge che le strade son tutt’altro che vuote. A farla da padrona però non son più le auto, gli scooter, i bus… Ma i piccioni, che tra un volo e l’altro tra alberi e balconi, non disdegnano di tanto in tanto una passeggiata sull’asfalto. Adesso, poi, che possono farlo quasi del tutto indisturbati…

A vederli zampettare sereni come delle Pasque, viene da chiedersi come vivranno il momento in cui torneremo a riappropriarci delle strade e li scacceremo da lì. Ci sarà da preoccuparsi, belli miei, mica come adesso, che al massimo v’imbattete nei runner.

Anche loro in questi giorni ne han guadagnato in sicurezza e infatti, dopo essersi liberati dal traffico d’un tempo e dagli sceriffi di quartiere, han ripreso a correre e stavolta in mezzo alla strada, come se nulla fosse.

Il momento che preferiscono per farlo è il mattino, quando i più ancora dormono. E così, a certe ore del giorno in giro non ci sono altro che loro: runner e piccioni, che tirano dritti verso chissà dove, senza guardare in faccia niente e nessuno.

Ma nella vita, si sa, talvolta può capitare che le linee rette che siamo intenti a tirare vengano interrotte. Proprio come in questa mattina uggiosa, in cui ad un tratto, mentre un runner e un paio di piccioni vagano indisturbati per la via, ecco che spunta un anziano e così, all’aria tutti piani!

Ultimamente, infatti, da queste parti le persone d’una certa età han preso a camminare in modo bizzarro: cambiano di continuo marciapiede, adoperandosi in uno zig zag che per far dieci metri in linea d’aria – roba che ad un essere normale richiederebbe si e no una manciata di secondi – oh, a loro ci vogliono cinque minuti buoni. E se poi ci son pure runner e piccioni a bloccare il passaggio, be’, i minuti posson diventare anche sei. Ma loro non si scompongono, anzi, pare che più ci mettono meglio è, ché la giornata in qualche modo deve pur passare.

Allora resto lì, ad osservare questa curiosa invasione di campo, che giunge inaspettata a rallentare il passo del runner e pure dei piccioni. Il giovane prende a saltare sul posto, ma giusto un attimo, eh, che l’incrocio di sguardi non dura più d’un secondo. L’anziano, infatti, senza fermarsi snoda le braccia da dietro la schiena, alza una mano per ringraziare e si butta in avanti a testa bassa.

I piccioni, spaventati, volano via; il runner si ferma, si piega in avanti e riprende fiato. L’unico che sembra non essersi accorto di niente è proprio lui, l’anziano, che anche se inizia a cadere qualche goccia di pioggia, chissene. Una sistemata al cappello, le mani che tornano ad annodarsi dietro la schiena ed eccolo di nuovo a ballare l’Alligalli. Tre passi a destra, tre a sinistra. Uno indietro a prendere la rincorsa e via, avanti, verso l’infinito ed oltre.

Del resto, anni e anni di balera saran pur serviti a qualcosa, no?

Il ritmo della domenica

È una domenica mattina di quarantena, l’ennesima, quando una voce rompe il silenzio assolato che regna là fuori. Grida convinte, che sebbene bussino intermittenti ai vetri delle finestre, riescono comunque a scuotermi dal torpore in cui mi trovo da un paio d’ore, come ipnotizzata davanti al monitor del mio pc.

Tanto vale alzarsi e sgranchirsi un po’, penso. Così mi affaccio alla finestra e sento che quell’andirivieni di parole vien proprio da sotto di me, roba che potrei fare una capriola e ritrovarmi anch’io ad urlare a squarciagola insieme a quella donna le più belle hit italiane degli anni 80.

Èèè… l’amico èèè… Grida a squarciagola. E mentre canta si sposta da una stanza all’altra, regalando a tutto il vicinato un effetto da far invidia alle famose canzoni in 8D che nelle scorse settimane han preso a girare in rete.

Mentre lei salta da un pezzo all’altro, io torno indietro nel tempo, a quando La notte vola si ballava di notte, con i lustrini addosso ed un gin tonic in mano, mica come adesso, che lo si fa in pigiama durante le ormai quotidiane pulizie di casa.

Certo che i tempi son proprio cambiati… e adesso che splende questo bel sole e in giro non si vede anima viva, quelle notti sembrano ancora più lontane, quasi come se non le avessi mai vissute e come se i ricordi che mi pizzicano la mente appartenessero a qualcun’altro.

Allora me ne sto un po’ lì, poggiata alla finestra con la mente chissà dove, quando d’un tratto quella voce di donna vien surclassata da qualcosa di ancora più convinto.
È il ritmo caraibico sparato a tutto volume dalla terrazza dei miei vicini, quelli del Sudamerica, capace in un attimo di mettere a tacere i ricordi e riempire l’aria d’intorno con un’energia frizzante che da a tutti il buongiorno.

Si riscuote dal torpore persino il signore che abita nel palazzo davanti, il quale fino ad ora era rimasto disteso sul suo balcone come una lucertola al sole, cappello di paglia in testa e indosso un sobrissimo costume a slip – alla faccia delle cabine di plexiglass dell’estate 2020-, mentre adesso ha anche lui lo sguardo rivolto ai Caraibi.

Del resto di questi tempi il bisogno di ritrovarsi altrove è tale che a quel ritmo non solo permettiamo volentieri di entrarci in testa, ma anche nel corpo. Così, un po’ alla volta, le finestre intorno si aprono e le persone si scoprono incapaci di star ferme, ognuna come può a muovere il bacino.
Lo muovo pure io, ormai ai Caraibi insieme a loro, lontana da Coverciano e da questi palazzi, che si son fatti spiaggia dorata.

Il sole sbatte in faccia un po’ a tutti, tranne a noi che siamo esposti a Nord, ma la brezza del mare… Be’, quella arriva fin qui, e mentre sballettiamo all’ombra dell’enorme ombrellone che è il tetto sulle nostre teste, un desiderio sorge spontaneo: un mojito, please.