Jardin Majorelle _ Marrakech, 20 febbraio

In viaggio alla scoperta del Marocco

Più ci penso più mi convinco che per quanto appaia enorme, questo mondo è più piccolo di quanto si pensi. Ne ho avuto la riprova ieri sera, quando spaparanzati nella terrazza del Riad, abbiam sentito due ragazzi avvicinarsi parlando toscano.
Un saluto, uno sguardo, poi qualcuno si è riconosciuto e in un attimo, oh, la terrazza si è trasformata in un vero e proprio salotto, con chiacchiere a non finire e tè alla menta che sgorgava in ogni dove.

Il più delle volte le cose van così, fan tutto da sole. E anche se non l’avresti mai detto, può capitare di ritrovarsi nel cuore di Marrakech a parlare di Colle Alta, mentre nella notte risuona il canto del Muezzin.

L’invito alla preghiera qua a Marrakech si ripete anche di giorno, più volte, e per quanto all’inizio possa risultare strano, il suo presentarsi, regolare ed immancabile, è un modo per entrare in contatto con la città e la sua gente.

Un altro modo per farlo è scendere in strada e confondersi con loro, donne, uomini, bambini. Allora, finita la colazione, usciamo ed iniziamo a camminare, decisi a raggiungere il Jardin Majorelle.

Per quanto sia presa d’assalto dai visitatori, quell’oasi verde è capace di regalare visioni splendide ed un silenzio irreale. Cose assai preziose per una città come questa, che finché sei per strada non ti dà un attimo di tregua, tra motorini che sfrecciano, auto, carretti trainati da asini… quanto ad attraversare, be’, non ne parliamo, anche se, detto tra noi, in questo l’essere italiani ha decisamente i suoi vantaggi.

Il fatto di riuscire a cavarsela meglio di altri, non significa però che ci piaccia star nel traffico, così abbandoniamo la città nuova per ributtarci nella Medina. In una parte per noi ancora inesplorate, più a nord e lontana dai caotici souk. Qua le strade si fanno più ampie, gli artigiani intagliano il legno ed il profumo del pane appena cotto riempie l’aria, riuscendo in un istante a farmi sentire a casa, sebbene quella che chiamo casa si trovi a chilometri e chilometri di distanza.

Chi invece tra queste strade a casa c’è davvero sono i gatti, che osservano attenti e col muso all’insù ogni mossa dei macellai, mentre poco più non là, dei polli si agitano in una gabbia. Del resto da queste parti ognuno ha il suo posto, tranne le spezie, che chissà come son capaci di saltar fuori ovunque. Sono incontenibili e così tante da riuscire a stonarti occhi e naso in un solo colpo. Ma la cosa non ci spaventa affatto. Tutt’altro. È proprio adesso che andiamo avanti, stonati e felici, ché la felicità, si sa, è fatta di piccole cose: ridere insieme, mangiare un appetitoso tajine, perdersi nei colori di un tramonto… ma soprattutto, cari miei, riuscire finalmente ad orientarsi.

Medina _ Marrakech, 19 febbraio

In viaggio alla scoperta del Marocco

La speranza di riuscire a capirci qualcosa in questa Medina l’avevamo lasciata fuori dalla porta già ieri notte, quando una volta raggiunto il Riad con l’aiuto d’un ragazzo, ci siamo guardati come a dire, ma dove diavolo siamo finiti?

Be’, per fortuna la luce sa il fatto suo e trasforma a tal punto le cose da esser riuscita, questa mattina, a dare alle vie un volto diverso, decisamente più colorato e vivace.
Nonostante questo, abbiamo comunque rinunciato a bussola e mappa, per buttarci un po’ a caso nel groviglio di vicoli che è questa città.
Per quanto infatti uno tenti di tenere a mente i suoi passi, ripedendo tra se e se: destra, sinistra, poi di nuovo sinistra… ne spuntano di nuovi in ogni dove, e in un attimo, puff, tutti i conti van per aria. Meglio quindi risparmiare il fiato fin dall’inizio. A meno che non si voglia provare con le briciole come Pollicino, ma a giudicare dai gatti affamati che si vedono in giro, be’, ho come l’impressione che anche quelle durerebbero il giusto.

Allora non resta che lasciarsi condurre dagli odori, dai colori e dalle tante persone che si muovono intorno a noi. Oggi, poi, che c’è anche il mercato berbero, con un sacco di prodotti artigianali. Fico, pensiamo. Anche se, un attimo dopo, più che in un mercato, la sensazione è quella d’essere finiti in un giro di schiaffi. Ci ritroviamo, infatti, a bere tè, mentre intanto lavoriamo l’argan insieme a donne berbere, annusiamo pietre e fiori d’arancio, proviamo creme per il viso… tutto più o meno contemporaneamente. E alla fine, non contenti, riusciamo anche a spendere. Quanto? Be’, meglio non dirlo. Certo è, che per quanto riguarda le spese extra con oggi abbiamo chiuso.

A qualcosa comunque questa immersione nel mondo berbero è servita, adesso infatti distinguo alla perfezione tutti gli odori che emana questa città: curcuma marocchina, cannella, menta, argan, rosa masqueta… e ogni tanto, buttata là, una bella zaffata di pipì. Ma quella, be’, la riconoscevo anche prima d’aver incontrato le donne berbere.

Per quanto sia fiera di riconoscerli, va detto che alla lunga tutti questi odori rischiano di dare alla testa, così decidiamo di tirare un attimo di fiato. Per farlo servono gli ampi e silenziosi spazi di Palazzo El Badi. E visto che ci siamo, anche Palazzo El Bahia, che nel suo susseguirsi di cortili fioriti, intarsi e piastrelle dai mille colori, è una vera oasi di pace.

Una pace che però svanisce all’istante quando entriamo in piazza Jemaa El Fna, dove tra incantatori di serpenti, scimmie al guinzaglio ed enormi banchi di frutta secca, ci siamo anche noi. E insieme a noi, altra gente. Un sacco di altre gente, che mangia, ride, canta, cammina… e sembra non averne mai abbastanza.

Che piazza questa piazza. Marrakech non sarebbe la stessa senza. Anche se, per quanto mi riguarda, non ho ancora ben capito se mi piace o no.
La osservo, mentre intanto il sole ci saluta e noi buttiamo giù l’ennesimo tè alla menta.
Domani è un altro giorno. Chissà, magari saprò darmi una risposta.

Marrakech, 18 febbraio

In viaggio alla scoperta del Marocco

Io, sono arrivata a pensare che più che un vizio, ‘sta storia dello zaino sia un vero e proprio destino.
Sarà che non sempre la casa da cui esco al mattino è quella in cui torno la sera; o forse sarà che di fronte ai repentini cambi di programma che questa vita ci riserva, in qualche modo bisogna farsi trovar pronti, e così, gira e rigira, va a finire che lo zaino ce l’ho sempre in spalla.

Certo, i miei zaini non son mica tutti uguali. Ci son quelli da un giorno e via e poi c’è quello per le occasioni importanti, quello tinto d’azzurro, ma che se solo potesse parlare, di colori da raccontare ne avrebbe una bella manciata.

Era da un po’ che non lo mettevo in spalla, quello zaino lì, tanto che temevo quasi di non esserne più capace. E invece, be’, ho scoperto che mettersi lo zaino è come andare in bicicletta: una volta che hai imparato, non lo dimentichi più. Diventa parte di te, qualcosa che ti vien fuori in un modo così naturale da darti l’impressione di appartenerti da sempre.

È un po’ la stessa cosa che provo quando penso al bel casino che ho di fronte, che adesso mi sorride, intento com’è a scaricare l’App di una bussola. Non sa che mentre ricambio quel sorriso, son qui a scrivere di noi e di quanto sia bello, nella vita, aver accanto un casino come lui. Con o senza bussola.

Anche lui è un tipo da zaino in spalla, perché come accade a me, anche nel suo caso, la casa da dove esce al mattino non sempre è la stessa in cui rientra a sera.
È una cosa che negli ultimi tempi accade sempre più spesso e detto tra noi, non è niente male. Quel che conta alla fine del giorno, infatti, è ritrovarsi, e poco importa dove.

Allora, visto che con questa storia dello svegliarci un giorno qua e un altro là ci abbiam preso gusto, ci siamo detti: perché non facciamo un viaggio? Ché almeno, oltre a svegliarci ogni mattina chissà dove, finiamo anche per passare le giornate insieme. Un’idea che ci piace ancora di più. Così, quasi senza accorgercene, siamo arrivati fin qui, nel cuore pulsante di questa città, che anche se ormai è più di mezzanotte non sembra affatto intenzionata a dormire.

Noi invece crolliamo, ché siamo in viaggio da ore e s’è fatta una certa.
A domani Marrakech.
Sarà bello svegliarsi qui, insieme.