il Venerdì _ 28

La settimana a ‘sto giro era partita stranamente bene.
Per carità, lunedì, al solito, è stata un’emergenza dietro l’altra, ché da queste parti, oh, non ci si ferma neanche quando luglio lascia il passo ad agosto, ma in fondo, la mattina era passata in fretta, esattamente come un temporale estivo, che in poco più di mezz’ora pare debba buttar giù il mondo, invece, oh, non fai in tempo ad accorgertene che è già tornato a splendere il sole.

Bello. Davvero troppo bello per essere vero. E infatti, giorno dopo giorno, la settimana si è rivelata esser quella di sempre: un concatenarsi d’incontri, alcuni preziosi, altri, che invece mettono a dura prova i nervi, soprattutto adesso che il caldo è tornato a farsi sentire.

Ma la colpa, dico io, mica può esser sempre e solo del caldo, ché qua dentro abbiam pure l’aria condizionata… e allora diciamolo, la colpa è nostra. Anche mia a volte, eh, così ci sono occasioni in cui mi son ripromessa di non aprir bocca, ché come dice Don Franco, il fiato è sempre bene risparmiarlo.
Allora, shhh! Shhh!

Me lo son ripetuto diverse volte in ‘sti giorni, anche davanti al signor Mauro e alla moglie. Lui col mal di denti e lei ad accompagnarlo.
Dopo che aveva finito, gli ho detto: Mauro la dottoressa vuole rivederla settimana prossima. Giovedì può andar bene?
Si, e grande e grosso ha scosso la testa.
Che orario preferisce: 8.30? 8.45? 9.00?
Facciamo 8.30, fa lui un po’ dimesso.
Metti le 9, va, s’intromette d’un tratto lei.
Lui si gira: perché le 9?
Perché lo dico io, e sorride fiera d’aver quell’uomo in pugno: di gestirgli vita, morte e miracoli da anni.
E lui: muah… bada te, se ‘un si pole anda’ da i’dentitsta quando ci pare.
In effetti, penso.
Ma lei niente, sorride ancora e ribadisce: metti le 9.
Io guardo lui.
Lui mi riguarda.
Facciamo le 8.45? butto lì.
Ma lei mi guarda. Smette di ridere.

Meglio metter le 9, va. E torno zitta.

Ma questo non è niente, credetemi, in questi giorni ho visto e sentito cose che voi umani non potete neanche immaginare. E infatti, ci son volte in cui, se solo potessi, vorrei tanto essere come Eleven di Stranger Things. Sollevar un attimo le cose per aria e quello dopo, sbam! Chissà dove.

Peccato che questa sia la vita vera e i superpoteri ancora non siano pervenuti. Magari un giorno, chissà… nel frattempo mi diletto con piccole imprese quotidiani. Be’, a dire il vero, qua dentro la facciamo un po’ tutti.

Stamani Sandra ha tradotto esattamente tutto questo in parole.
Erano le 8.20 e nello studio, ancora deserto, c’eravamo soltanto io, lei e Sandrina, quando d’improvviso è suonato il campanello e nel silenzio illuminato dal sole che filtrava dalle vetrate, ha sollevato le braccia e carica d’energia ha detto: Eccoci pronte per la battaglia di questo venerdì!

Già, perché a volte qua dentro più che a lavorare pare di essere in battaglia. Ora però è giunto il momento di deporre le armi, ché finalmente il venerdì è arrivato e il mio bel casino mi porta al mare.

il Venerdì _ 27

La scorsa settimana me ne son rimasta in silenzio. Già. Perché questo lavoro a volte è un po’ come la vita, ti accadono cose che restano dentro e per quanto tu cerchi di gettarle via, il più possibile lontano da te, oh, quelle restano lì, a toglierti fiducia, fiato, a seppellire quella punta d’ironia che da sempre ti permette di restare in piedi, nonostante tutto.

Mi ci son voluti dei giorni per farmene una ragione e a dirla tutta, non credo d’essermela ancora fatta, ché se ripenso alla supponenza e all’ignoranza di quel tipo, le braccia mi ripiombano a terra. Sbam!

A tirarle su, un po’ alla volta, è il fatto che per fortuna, a questo mondo, le persone non son tutte così. L’umanità è alla deriva, certo, ma qualche briciola resiste tenace al naufragio.
E così, ogni giorno c’è chi mi concede sospiri di sollievo, come la signora Grazia, che l’altro giorno, son convinta, me l’han mandata apposta.

Quarant’anni di lavoro al pubblico. La gente, lei, aveva imparato a riconoscerla al volo.
Quelli che avrebbero fatto storie per pagare, m’ha detto, eh ‘un facevano in tempo a entrare in negozio, l’avevo già riconosciuti. Oh, ci provavano in tutti i modi: ho lasciato in portafogli a casa, passo domani… Poi però, di contrario, c’era chi ‘unn’avea sordi ma piuttosto di ‘unn’aver debiti mi pagava con l’ova. A quelli, i capelli, gliel’avrei fatti anche a gratisse, ma a quell’attri… ‘un li facevo mica più entrare, sai.

Ed io lì, ad ascoltare, e a pensare che in fondo, anche se allora non c’ero ancora, mi par di capire che rispetto a quarant’anni fa, la gente è rimasta pressappoco la stessa. Il mondo insomma si divide ancora tra onesti e disonesti.
Insieme a questi ci sono poi quelli che galleggiano; quelli che per intendersi seguono la corrente e a seconda di dove tira, son pronti a calare la maschera del buon cittadino e a mettertelo in tasca.

Se penso ai politici illuminati, ai medici che salvano vite o anche alla mia amica Eli, che passa le sue giornate a New York a studiare il cervello, be’, il mio lavoro mi appare così semplice, ma non per questo, penso, possa esimersi dall’avere una sua funzione sociale. Se c’è qualcosa, infatti, che ciascuno di noi può fare, contro i disonesti, in favore degli onesti o ancor meglio per indicare la rotta ai tanti galleggiatori, be’, io credo proprio debba esser fatto. Mica per niente, eh, ma ‘sti furbetti che quando son nel torto alzano la voce, avrebbero anche rotto, ché per lo meno la signora Grazia alla pensione c’è arrivata. A noi, invece, non toccherà manco quella. Quindi bisogna tener duro e non abbassare la testa, soprattutto davanti a certa gente.
Bisogna far come Boris, insomma, che l’altro giorno, dopo che Lorenzo gli ha tolto un dente è corso in segreteria con un sorrisone pieno di finestre e dall’alto dei suoi nove anni ha detto fiero: Ho resistito!

Ecco, dovremo fare proprio come lui: resistere e sorridere alla vita, ché anche se a volte non è esattamente quel che si saremmo aspettati, non dimentichiamocelo, possiamo comunque sempre scegliere come giocarcela.

il Venerdì _ 26

A me, ultimamente, pare che le settimane abbian preso a volare. Non che si sian fatte più leggere, sia chiaro, ma più brevi si, ché senza accorgersene, oh, ci si ritrova sempre al venerdì.

Ripenso a quando questo genere di frase la sentivo dire da mia mamma ed io, carichissima per l’ennesimo fine settimana all’orizzonte, la guardavo senza capire.
Ah… ne son passati di anni da allora, così tanti che adesso son dalla sua parte anch’io, a pensare che non fai in tempo ad arrivare al venerdì che, taaaaac, eccone subito un altro.

E cosi, anche questa settimana è arrivato in un lampo. Senza pioggia, però, eh, ché anche se il cielo era talmente grigio da prometter chissà cosa, alla fine son cadute a malapena due gocce e al solito han fatto peggio che meglio.

Ma in fondo, chiessene, domani è sabato e poi c’è la domenica. Me l’ha ricordato anche la Rossella oggi a telefono: Forza, forza, ha detto, ché siamo al venerdì.
Eh già
, ho proseguito io, ancora qualche ora e finisce la settimana.
Allora, nonostante a dividerci ci fossero due telefoni e decine di chilometri, l’ho sentita farsi vicina: Per fortuna, cara mia, le donne amano anche le attese.

Quando me l’ha detto ho sentito una stretta al cuore, di vicinanza, d’affetto… Poi ho pensato, ma siam proprio sicure che le cose stiano davvero così?
Le donne di oggi, infatti, (…non tutte per fortuna) non fanno in tempo ad arrivare che già pensano a quando saran di nuovo fuori. Varcano la porta dello studio con passo deciso, come quella dell’altra sera.

-Buonasera.
-Buonasera.
-Ho un appuntamento.
-Si, si può accomodar…
-C’è molto da aspettare?
Guardo l’orologio: son le 18.43. Guardo l’agenda: il suo appuntamento è alle 18.45.
Riprendi fiato, penso, mentre intanto sorrido: – La fanno passare subito.
-È che avrei un altro impegno – dice, mentre guarda indispettita l’orologio che ha sul polso.
Ed io, be’, mi mordo la lingua per starmene zitta, ma nel frattempo mi chiedo: come diavolo è possibile che noi esseri umani non ci siamo ancora estinti? Ché detto tra noi, oh, di tanto in tanto ce lo meriteremmo proprio.

Be’, c’è di buono che certi pensieri riesco a tenerli per me. Se c’è una cosa che ho imparato a fare in questi anni, infatti, è starmene zitta. O per lo meno, ho imparato a non dire proprio tutto ciò che vorrei. Solo che nella vita, si sa, d’imparare non si finisce mica mai e così, ahimè, potrebbe capitare di fare un passo falso.
Allora gliel’ho detto alla Teresa: – Tieniti pronta, fosse mai venisse a mancarti una segretaria.

A forza di vederne di tutti i colori, infatti, va a finire che uno di questo giorno mi dimentico di star zitta e…
– Be’- m’ha detto lei – al massimo veniamo a portarti le arance, eh. E s’è fatta una risata.

Che dire?
Poteva andarmi peggio, ché detto tra noi, le arance mi piacciono anche e poi fanno un gran bene alla salute, un po’ come le attese, che anche quando son snervanti e a tratti sembrano interminabili, oh, se le guardi bene, han sempre qualcosa da poterti insegnare.

il Venerdì _ 25

Questa è proprio una bella settimana, ho pensato mercoledì, di quelle che ti fan dire: ce ne vorrebbero di più di settimane così.

Poi, è arrivato il giovedì.
Allora mi son chiesta, ma quel pensiero, da dove diavolo ti è saltato fuori? Ché son bastate nove ore di lavoro a vanificare tutto.

Be’, lo ammetto, dir tutto non sarebbe giusto, ché anche se ieri qualcuno si è davvero impegnato a mettermi i bastoni tra le ruote, ‘sti giorni a lavoro son stati pieni di cose belle: la Clau che si è ripresa, ad esempio, ed è finalmente tornata tra noi, un cornetto al cioccolato diviso in tre dopo un concertino di crampi allo stomaco e i tanti incontri che in segreteria c’han strappato parole e sorrisi.

Uno tra tutti, quello con la signora Carla, che da quasi cinquant’anni urla nelle orecchie al suo Giannino, come lo chiama lei, il mio amore bello; lui ride, zitto, e annuisce, mentre lei spara parole ad un volume tale che mi domando, ma lui, dopo tutti questi anni, come diavolo farà ad avere ancora l’udito? Non posso manco chiederglielo, poher’omo, ché non fa in tempo ad aprir bocca che subito la risposta arriva da lei, ovviamente a tutto volume. Allora lui chiude la bocca, sorride e avanti così.

Oh, ogni volta che li vedo, ‘sti due mi fan morire. Tanto che mi vien da pensare, fossero tutte così le persone. Ma poi mi dico, suvvia Ire, non vorrai mica adagiarti? E così, anche questa settimana mi son fatta pallina da flipper, rimbalzando tra toni sbrigativi, difficoltà a sfilare portafogli dalle tasche (sarà forse il caldo?) e le immancabili lamentele sui prezzi (che poi, detto tra noi, vengon sempre dai soliti e ora vanno in coppia col classico e sospirato, Altro che mare… tanto che mi chiedo, siam forse diventati stagionali anche qui?).

Di sicuro, il caldo l’abbiam sentito pure noi. Niente drink alla mano e spiagge paradisiache, sia chiaro. Il merito va dato piuttosto ai nostri balzi, che senza tregua ci conducono di palo in frasca.

E in questi giorni, be’, sono andata così tanto di palo in frasca, che a una certa mi son ritrovata addirittura all’Ikea. Così, adesso ho un nuovo letto. Chi mi conosce si starà chiedendo se lo porterò a lavoro. In effetti, considerato il tempo che passo là dentro, potrei risparmiami un bel po’ di balzi.

Ma no, cari miei, il letto l’ho messo altrove, alla giusta distanza di sicurezza, e poco importa se dopo averlo portato al quarto piano in un pomeriggio bollente, io e Francesco l’abbiam montato al contrario.
Una volta finito, mi son seduta a terra, con un pacchetto di patatine in mano a tirar su la pressione e in testa le parole della signora Gabriella, che qualche giorno fa m’ha detto: Chi sa ridere di se stesso, cara mia, non smetterà mai di divertirsi.

Allora giù, a ridere: di me, di noi e di quella maledetta fatica. E chissene se eravamo appiccicosi e ko, di fianco a un letto montato al contrario. In fondo, prospettive diverse, talvolta insolite, fan bene al cuore e alla mente.

…Be’, sempre che le doghe reggano.

il Venerdì _ 24

Questo lavoro sarà anche ripetitivo, ma di sicuro a farlo s’imparano un sacco di cose. Ad ascoltare gli altri, ad esempio, e ad osservare: gesti, atteggiamenti… così, in questi anni, ho imparato anche un’altra cosa: saper diffidare. Già! In particolare di quelli che arrivano in studio vestiti di tutto punto, con la vita dettata dall’agenda sul cellulare e lo sguardo di sotto in su. Ecco, con tipi così, puoi scommetterci, arrivare al saldo sarà un parto; non uno qualsiasi, eh, ma uno di quelli podalici, lungo e doloroso, magari con i 40 gradi all’ombra degli ultimi giorni.

Se ne vengon fuori con un Sai, ho avuto delle spese impreviste (Ma va?! Al giorno d’oggi mi sembra capitino un po’ a tutti, ma dico io, deve farti credito il dentista?); poi li vedi in giro, macchina nuova, A A Abbronzatissimi manco Edoardo Vianello. Han figli a cui non fan mancare niente. Corso di violino, ceramica, danza, meditazione, kung fu… (li fanno tutti e a quanto pare tutti insieme, dato che ogni volta, prendere un appuntamento diventa un’impresa); eppure, oh, quando vengono da noi, ‘sti adulti non si sa come, ma son capaci di far storie per 40€.

È che anche se non sembra, i piccoli paesi sono un po’ come il mio lavoro: insegnano e soprattutto mostrano. Vuoi o non vuoi, infatti, da queste parti ci si conosce un po’ tutti e allora, dico io, perché inventare cazzate?
I miei preferiti, quindi, son quelli che te lo dicono senza problemi che vanno in ferie. Per il pagamento se ne riparlerà, eh, ché un paio di settimane di vacanze vorrai pure fargliele fare a queste povere anime in pena con il lettino in spiaggia già prenotato, no? Cosa diavolo pretendi che prima di stendersi al sole unti, cocktail alla mano, vengano a saldare il lavoro fatto del dentista. Suvvia, anche te!

E allora si, son sempre più convinta che questo lavoro sia un concentrato d’insegnamenti. Dietro a questo bancone, infatti, s’impara persino a far canestro ad occhi chiusi. Persone, situazioni, scambi di battute infelici… se ne fa una bella palla e la si getta alle spalle, sbam! Ché a tenersele sul cuore e nella testa, certe cose, si rischia di restar bloccati, mentre invece ha ragione Giuliana: nella vita bisogna andare avanti, altrimenti si va indietro.

Per cui avanti, eh, e anche di corsa, verso persone belle, con mani consumate dalla fatica e menti creative. Un po’ come quelle di Gianni, che un paio d’anni fa ci ha regalato dei dipinti e questa settimana è tornato a trovarci. Scrivi, m’ha detto, tu devi scrivere! Lo stesso ha fatto Hung, il quale m’ha confessato che a forza di leggermi, oh, oltre a realizzare sculture, gli è venuta voglia di prender carta e penna. Chissà che questi miei pensieri buttati lì un po’ a caso non gli siano davvero d’aiuto… Di sicuro, lo sono per me questi incontri, come quello con Ciro, che ogni volta m’invita a visitare la sua Bottega. L’ha fatto anche l’altro giorno, per poi aggiungere: Sandra deve farmi una rx per vederci più a fondo. Speriamo non veda troppo a fondo… – ha detto – Be’, prima magari vado a confessarmi, eh, che chissà cosa salta fuori.

Ed io mi son fatta una bella risata, di quelle libere e spensierate, mentre pensavo alla fortuna di aver a che fare con spiriti leggeri come i loro, che hanno occhi e cuori sensibili al bello e mani capaci di dargli forma, ciascuno a suo modo. Ogni volta, incontrarli è una boccata d’aria fresca, un soffio nell’animo che mi tira su, ma così su, che a tratti, oh, par quasi di volare.


il Venerdì _ 23

Quello che mi son ripromessa di fare ogni lunedì è buttarmi alle spalle gli acciacchi e ciò che è stato, ripartendo con nuovo slancio. Ché ogni settimana è storia a sé, un po’ come i giorni e le ore. Allora via, con fiducia, verso quel che sarà, ché l’ottimismo si dice sia il profumo della vita.

Già… solo che poi mi domando, che diavolo di slancio volete che mi dia se il primo paziente con cui ho avuto a che fare questa settimana, manco ho fatto in tempo a dirgli buongiorno, che se n’è venuto fuori con un altezzoso: che c’è dimorto da aspettare stamani?!

Ed io, a quelle parole lì, ho appallottolato i buoni propositi, crash!, e me li son buttati alle spalle, ma con leggerezza, eh, ché anche se in mente avevan già preso a frullarmi pensieri su pensieri, mi son detta, meglio lasciar stare e rimanere zitta, va, ché se inizio a farmi il fegato amaro di lunedì si parte bene di nulla.

Anche se, a dirla tutta, sebbene lunedì sia stata zitta, mi sa che il fegato con questo lavoro me lo sto giocando lo stesso, ché tanto, dopo quel paziente lì n’è venuto uno simile, poi un altro ancora… e come se non bastasse, oh, ci s’è messo anche qualche collega a rendere ancor più interessante il tutto; una roba che se ci penso, caro il mio fegato, un due-tre Negroni di quelli pesi sarebbero andati giù parecchio meglio, credimi.

Ma voglio esser comprensiva, suvvia, ché non si dica che passo i venerdì a lamentarmi!
Allora la butto lì e mi domando, sarà forse questo caldo tremendo giunto d’improvviso a fiaccare menti e gambe, a dar noia un po’ a tutti? A renderci più irascibili, intransigenti, impazienti?

E chi lo sa…
Mio fratello dice che in questo periodo dovremmo bere in continuazione acqua, mantenerci idratati. Bisognerebbe insomma aver sempre con sé un bel paio di gobbe, proprio come i cammelli, in modo da non restar mai senza scorta, evitando così di disidratarsi e perdere le staffe. Solo che mica posso bene soltanto io, eh, ché per aver dei benefici, intendo benefici veri, mi sa che le gobbe dovremmo averle un po’ tutti. Quindi bevete gente, idratatevi! Altrimenti mi tocca buttar giù roba forte, altro che acqua… E poi chi glielo spiega a mio fratello?

Va detto, però, che in giro ci sono anche tante belle persone, che a loro modo son dei preziosi sorsi d’acqua fresca. Son quelle persone che con un sorriso, una parola gentile o una battuta, oh, son capaci di risollevarmi in un attimo.

Ce ne vorrebbero di più di sorsi così, leggeri e liberi, proprio come quello di birra fresca che butto giù a fine giornata, confusa tra centinaia di ragazze e ragazzi che non conosco, ma a cui comunque mi sento vicina, ché sorridon tutti, senza niente di cui lamentarsi né niente da chiedere, men che mai da pretendere. Ah, finalmente!

E mentre ci penso, alle delusioni, ai lamenti, alle arrabbiature… un po’ alla volta svanisce tutto. Ed è di nuovo il vuoto, dentro, un vuoto pieno di vita, di idee creative e anche di fiducia, si, che mi porta a pensare che a volte, be’, basta davvero poco per tornare a respirare. Un pomeriggio libero, ad esempio, meglio se immersa nel verde delle Cascine a Firenze, mentre il sole ci da l’ultimo bacio della giornata e la musica degli Smashing Pumpkins riempie l’aria, riportandomi, d’un tratto, ad un bel po’ di anni fa.

The Smashing Pumpkins _ Ava Adore

il Venerdì _ 22

Io, son sempre più convinta che le cose, in questa vita, non capitano a caso. Non capitano a caso per niente.

Così, quando lunedì mattina, tutto d’un tratto, i pc dello studio sono andati in tilt, mi son detta, dev’esserci senz’altro un motivo se la settimana non ha fatto neanche in tempo ad iniziare che già ci ha messi tutti fermi all’angolo. E quando dico un motivo, intendo qualcosa che vada oltre l’evidenza di un guasto alla rete o di una connessione che salta e rende un’isola ciascuno di noi.

Mentre la Mau e la Tere si davan da fare per risolvere ‘sta cosa, saltando di telefono in telefono in attesa che un tecnico o qualche altra mistica creatura giungesse ad illuminarle, io continuavo ad intrattenere i pazienti, distratta da una vocina che chissà perché aveva preso a ronzarmi in testa.

E più mi squotevo per mandarla via, più quella vocina ronzava, ronzava… MMM…non vi dico che fastidio, tanto che alla fine, oh, non ho potuto fare a meno di ascoltarla, presa per sfinimento. E menomale, dico io, perché grazie a quel ronzio fisso ed insistente ho finalmente capito che quel tilt, non era affatto un caso, ma un freno bello e buono, imposto a tutti noi dalla vita, che ultimamente ci vede tutti troppo di corsa, sfiancati, sempre connessi eppure così distanti.

Allora mi son sentita così grata per quel tilt, ché all’inizio pareva una sciagura, mentre alla fine, be’, s’è rivelato prezioso, per riprender fiato, guardarci negli occhi e far qualche risata insieme. Tanto la connessione è un po’ come certi amori, che mica finiscono, fanno dei giri immensi ma poi ritornano. Non si sa bene quando, ma prima o poi tornato… pare.

E poi, insomma, ritorno o no, ci son messaggi che non possiamo far finta di non sentire, ché se non ci si arriva da soli a capir certe cose, ci pensa la vita a darci un aiutino. E poco importa se i suoi modi non son sempre raffinati. Del resto mica son tutti come la signora Carla, ottant’anni, sempre elegante, distinta, che l’altro giorno mentre ci salutava, ha chiesto a me e la Mau dove avremmo trascorso le ferie. Noi siam rimaste un po’ interdette, ché ancora, prese come siamo da mille cose, non ci abbiam mica pensato, alle ferie. Allora lei, c’ha guardato un po’ severa, senza perdere però neanche un briciolo della sua eleganza e c’ha detto: Ma come? Dovete far le valigie e andar via, ché nella vita, care mie, bisogna prendere tutto quel che viene, giorno dopo giorno, ché domani chissà dove saremo.

E io, più ci penso, più mi convinco che anche quelle parole siano state un po’ come il tilt di lunedì: un segno. Ché nella vita, appunto, niente viene a caso, figuriamoci le parole. Allora mi son ripromessa di farne tesoro, tornando magari a mettermi lo zaino in spalla presto. Intanto però mi godo un buon gin tonic, ché anche se la giornata è stata lunga, a tratti interminabile, senza che me ne accorgessi, be’, il Venerdì è arrivato anche oggi.

il Venerdì _ 21

Ci son settimane in cui, più che d’essere a lavoro, ho come l’impressione d’esser finita in uno scherzo. Ché te ne capita una dietro l’altra, senza alcun modo di riprender fiato, e tra le decine di voci che ti frullano in testa ce n’è una, lontana ma insistente, che fa da sottofondo alle altre. Tutto questo non può essere vero, ripete, dev’essere di sicuro uno scherzo.

Ecco, la settimana appena conclusa è stata esattamente questo: uno scherzo. Uno di quegli scherzi che però a me non piaccion mica poi tanto, ché mentre tutto va in scena, tu sei lì a domandarti se chi l’ha organizzato, quello scherzo lì, avesse davvero intenzione di farti ridere o cosa.

A tratti, infatti, in questi giorni più che le risa ho dovuto trattenere il pianto. Ché tra lunedì e martedì mi son beccata di quelle risposte, che se solo ci ripenso, son convinta che sarei uscita più intera da un giro di schiaffi.

Be’, che negli ultimi tempi a farla da padrona fossero le voci grosse, quelle che si apron la via a forza di polemiche e prepotenze, l’avevo capito. Speravo soltanto che se ne stessero fuori, a distanza di sicurezza. Invece son giunte fin qua; e vuoi per evitare discussioni, vuoi per quell’assurda storia che il paziente ha sempre ragione e che lo devi coccolare anche se ha la pelle dura e graffiante d’un coccodrillo, capita a volte che simili voci riescano ad avere la meglio anche da noi.

Per fortuna però c’è chi non si arrende ed ostacola il dilagare di questo imbrutimento collettivo con un’arma ai più sconosciuta, ma senza dubbio infallibile: la gentilezza.
È il caso della signora Maria Luisa, che l’altro giorno, al telefono, dopo essere state un po’ di tempo a prender degli appuntamenti, m’ha detto: Grazie di tutto, le do un bacio in fronte.
Ed io, davanti a quelle sue parole, ho pensato, ma quanto sarà strana la vita, che un attimo di trattano a pesci in faccia e quello dopo, oh, c’è chi ti manda baci via telefono?

Forse, dopo tutto, il bello della vita è anche questo, che non smette mai di sorprenderti e anche se a volte ti sottrae ossigeno tenendoti la testa sott’acqua, un attimo dopo è lì che ti tende la mano per poter tornare in superficie.

Di modi, per risalire, per fortuna ce ne se sono molti. E anche se a tratti è un’impresa ardua, io ne cerco di nuovi ogni giorno, ché se c’è una cosa che lo stare a contatto con gli altri mi ha insegnato, è non perdere me stessa. Certe cose, quindi, non posso far altro che farmele scivolare addosso. Le vedo e le sento, certo, ma un attimo dopo non ci son più. Puff. Svanite.
Del resto l’estate è alle porte e se voglio iniziare a mantenermi leggera per la prova costume, da qualche parte dovrò pur iniziare. No?

E se poi capita che mi distraggo e qualcosa mi rimane impigliato addosso, per fortuna ci sono la Ele e la Elsa, che per quanto sian giovani, ieri m’han dato prova d’aver occhi ben vispi, che guardano attenti a ciò che accade intorno ma al contempo han voglia di ridere e di farlo di gusto, proprio come si fa a vent’anni.

Tanto, l’ennesima delusione o arrabbiatura arriverà comunque, assieme all’immancabile voce grossa; facciamo almeno in modo che al loro arrivo trovino animi leggeri e spalle forti su cui scivolare.

Per quel che mi riguarda dovremmo tutti imparare ad esser più simili a loro, qua dentro. Conservando a mani strette l’entusiasmo dei loro anni, ad esempio, o la fiducia in un futuro che se solo ci impegnamo non potrà che essere migliore.

il Venerdì _ 20

Da queste parti non c’è mai il verso di starsene un po’ da sola. Vuoi o non vuoi, infatti, al Poliambulatorio qualcuno con cui parlare lo trovi sempre: di persona, per telefono, persino tramite messaggio, ché da un po’ di tempo ci siam fatti tecnologici e sul nostro cellulare è arrivato pure WhatsApp!

Be’, che dire? Al di là del caos che mi frulla in testa e del bisogno di silenzio che ultimamente accompagna le mie serate, c’è di positivo che ogni giorno intesso un sacco di relazioni. Non solo con chi come me se ne sta qua dentro a giornate intere per lavoro, ma anche con gli altri.

Già, perché può sembrar strano ma a questo mondo esistono anche gli altri, quelli che le giornate le passano per lo più fuori, ma che da qui, di tanto in tanto son costretti a passarci: per un’emergenza, un’igiene o perché no, un controllo. E così, a forza di vederli e sentirli, va a finire che anche loro diventano parte di noi; persone che si affezionano alle nostre storie o che ci raccontano le loro.

Penso a Rossella e alle sue camminate, ai ritratti color pastello di Gianni e a Giancarlo, che ogni volta che lo vedo, penso, ma quando arriverà la prossima spiaggia lontana ed assolata su cui fantasticare insieme?

Mentre aspetto che ciò avvenga, penso che averle incontrate, queste persone, è stata proprio una fortuna, ché di questi tempi, di cielo grigio e tempo incerto, una scaldata al cuore è proprio quello che ci vuole. E anche se vien fuori dalla cornetta di un telefono, un sorriso sincero a tratti sa esser più di una carezza. Proprio come quella che ho ricevuto l’altro giorno dal signor Fabio, che prima di metter giù, m’ha detto: Via nini, e’ ci si vede domani. Ed io, più ripenso a quel nini più mi sento stretta in un abbraccio. Ché manco me la ricordavo l’ultima volta che qualcuno m’aveva chiamata così, nini.

Penso a tutto questo, alle carezze, ai sorrisi e alle idee scaturite da cose piccole, semplici, ma pur sempre capaci di dar colore a giornate, che se solo non avessi questi occhi qui, non farebbero altro che susseguirsi l’una identica all’altra.

Allora, d’un tratto, mi vengono in mente quelli che vedono tutto grigio e per qualche assurdo motivo, oh, voglion far vedere grigio anche me. Solo che a me, ‘sta storia, non piace mica poi tanto, ché se c’è una cosa che non sopporto è chi ruba: energie, idee propositive, colori. Dico io, con tutta la fatica che si fa per tenerseli stretti, i colori, ci manca solo che qualcuno venga a sottrarceli.

I giorni, certo, non son tutti uguali e anche a me di tanto in tanto capita d’esser sotto tono, di buttar fuori pensieri, pesantezze, d’usare senza volere chi mi sta intorno come un pungiball. Dopo tutto siamo umani, mi dico, ma ora che son qui a scrivere, penso, va bene l’essere umani, ma forse bisognerebbe provare a mettersi nei panni di chi ascolterà le nostre parole, per capire non solo ciò che esse sono in grado di dare, ma anche ciò che molto probabilmente porteranno via. Chissà, magari così, prima d’aprir bocca impareremmo tutti a contare. Uno, due, tre… e avanti, fino a… be’, ognuno conti fino a dove vuole, l’importante è iniziare a farlo, ché a pensarci bene, se di orecchie ne abbiam due, mentre la bocca è soltanto una, dico io, non sarà mica un caso.

Meno parlare più ascoltare.

il Venerdì _ 19

A volte ho come l’impressione di dimenticarmi la fortuna che ho a starmene qua dentro. O meglio, più che dimenticarmene, è come se questo pensiero finisse per acquattarsi in un angolo, sotto polvere di arrabbiature, briciole di stanchezza e qualche parola buttata là da qualcuno che solo a ripensarci, oh, mi cadono le braccia.

È che più passa il tempo più mi rendo conto di quanto sia tristemente facile dimenticarsi le cose importanti. Accantonarle chissà dove, in un angolo polveroso, ad esempio, o nell’armadio assieme agli scheletri. Ché in fondo, anche loro, avran pur bisogno di compagnia, no?

Solo che noi dovremmo esser più bravi e trovar altro per intrattenere quegli scheletri, senza dar loro i nostri bei pensieri. Per fare questo abbiam bisogno di menti capaci di resistere a tutto e a tutti, soprattutto alla consuetudine e alle dimenticanze. Menti resistenti, insomma, e cuori capaci di fare altrettanto.

Io non lo so mica di cosa son capaci la mia mente ed il mio cuore. Insieme, in questi anni, ne han combinate parecchie, dentro e fuori di qua. E quando penso alle fatiche che ultimamente offuscano i miei pensieri, mi chiedo, ma quanto sarà strana la vita? Che più avresti voglia di rallentare e tornare a vedere le cose, senza doverle sfiorare solo con uno sguardo, più, guarda un po’, la vita ti fa correre qua e là come una trottola.

Sandra una volta mi ha detto che niente viene per caso: periodi impegnativi, prove difficili… tutto ha un suo perché. Le sue esatte parole sono state: le prove più dure spettano a chi è in grado di affrontarle. Ed io, più ci penso, più mi dico, ma che roba bella è!
Quasi la invidio la sua fede: nella vita, in Dio, nelle persone. Una fede che le fa chiudere un occhio su tante di quelle cose che io penso, muah… e poi le fa dire un sacco di Si: a chi la assilla di telefonate, a chi le affida qualcosa più grande di lei e a chi non fa a pieno il suo lavoro, ma che problema c’è, dice, tanto ci penso io.

Santa donna, la Sandra. Talmente santa che a qualcuno, dopo averla incontrata in giro chissà dove, è capitato di ritrovarsi steso in studio a bocca aperta, sbam! E lei, davanti, intenta a fare il suo lavoro. Domeniche, festivi, pure mentre veniva giù la neve e fuori non c’era anima viva. Lei era lì.

Donne così, ti vien da pensare, averle intorno è una gran fortuna. Badate bene, non ho detto una passeggiata, né un bel aperitivo lungo in cui lasciar lentamente andar via i pensieri. Ma sulla fortuna, credetemi, non vi è alcun dubbio. La santità infatti è una roba impegnativa, che ti mette alla prova, ma ha di positivo che ravviva gli animi e così, alla fine, a forza di starle dietro, in questi anni ci siam fatti un po’ santi anche noi. Dei santi minori, sia chiaro. Anzi, in alcuni casi, sarebbe forse più giusto parlare di beati.

Io son di sicuro tra quest’ultimi. Se una cosa l’ho capita, infatti, è che la strada per il Paradiso è bella ripida e richiede ogni giorno il superamento di noi stessi. Una strada impegnativa, insomma, senz’altro molto lunga. Ed io, be’, non son mica certa d’esser pronta a percorrerla. Allora procedo un passo alla volta, senza fretta, ché io dico, prima di arrivare fin lassù, vuoi che non mi faccio un bel giretto altrove?

Never give up_ Millo
Santiago del Cile