Copenaghen, 12 marzo

A tratti ho come l’impressione che in questa città ci siano più bici che esseri umani, ché in giro, oh, mi par di non vedere altro. Sono ovunque: buttate a terra dal vento, legate a qualche palo o in strada, dove sin dalle prime ore del mattino, van qua e là come uno sciame d’api.

Più li guardo pedalare, più penso che ‘sti danesi, oh, devono avere due gambe così ed io, lo ammetto, un po’ li invidio. Anche se in questi giorni, be’, le gambe l’ho messe in moto anch’io, macinando passi per le strade di questa città, che sebbene si mostri sempre piuttosto distesa non dorme mica mai.

Da fuori, i locali e i negozi sembrano chiusi, ma affacciandosi si scoprono donne e uomini all’opera: impiegati, artigiani, professionisti, commessi. Lo stesso accade nei caffè, dove c’è chi parla, certo, ma anche chi se ne sta in silenzio al pc o al tablet, mentre intanto butta giù caffe, tè e brioches piene di burro che vanno in frantumi al primo morso. Crash!

Stamani, tra briciole e tazzine, mi ci son buttata anch’io, ché il cielo, fuori, non prometteva niente di buono. E così, libro alla mano e via, anch’io una di loro.

Ammetto che farlo è stato un piacere, ché quassù, oh, la gente si rivolge a me in danese. Il che, ovviamente, equivale a non capirsi, ma per lo meno ho trovato un posto dove non mi scambiano più per una francese.

È che qui la gente è avanti, c’è poco da fare. Lo si vede dalle piccole cose, tipo che nessuno alza mai la voce o che l’acqua, nei caffè, è a disposizione di tutti gratuitamente; ognuno può prendere un bicchiere e servirsi. E se poi ti scappa la pipì quando sei già in giro, be’, non c’è da preoccuparsi, ché i bagni pubblici, qua, sono un po’ ovunque e udite udite, la gente li lascia puliti senza bisogno che qualche cartello ricordi loro che quello che hanno in mano non è un idrante, ad esempio, o che nel wc va gettata solo la carta igienica. Roba che a pensarci, oh, in Italia sembra fantascienza, mentre qui è semplicemente come vanno le cose tutti i giorni.

In effetti, a me, questi non sembrano affatto alieni. Li trovo anzi piuttosto umani: gentili, sorridono. Sarà questione di fiducia. Ché se c’è una cosa che ho notato è che quassù, di fiducia, ne hanno da vendere, soprattutto nel futuro, con tutte le carrozzine e i passeggini, che si vedono in giro. Son così tanti, che tra quelli e le bici potrei davvero passare la giornata a contare ruote.

Ma ahimè, temo che il tempo a mia disposizione non sia abbastanza. Quel poco che mi resta lo butto in una bella fetta di torta, che anche se non sarà in grado di far leva sulla mia fiducia, son certa accrescerà il buonumore, assieme alle cosce. E allora, be’, mi vien da pensare che sebbene di passi da compiere ne abbia ancora tanti, tutto sommato son sulla buona strada, ché per andare in bici servono anche quelle. No?

Copenaghen, 11 marzo

Tenere gli occhi aperti, stamani, è stata una vera impresa, ché in cielo splendeva un sole bellissimo.

La città s’è svegliata di buonumore ed io, be’, non ho potuto che fare lo stesso. Così, un po’ alla cieca, mi son data in pasto alle sue vie, che saranno anche silenziose, ma sanno il fatto loro e a tirarti a sé, oh, ci mettono un attimo. Per lo meno con me, che senza accorgermene, in un baleno mi son ritrovata a Christianshavn, dove isole verdi spuntano fuori dalle fredde acque del Baltico.

Le facciate delle case, là, son ricoperte di mattoni, altre di legno, ed hanno grandi vetrate attraverso cui chiunque può entrar dentro. Persino io, che son l’ultima arrivata, mi ritrovo ad osservare una ragazza che lava i piatti. Vedo i suoi quadri, il suo divano. Vedo anche la signora al piano di sopra che annaffia le piante. Ma a loro, la cosa, non sembra dar fastidio. Anzi, sorridono, per poi tornare a darsi da fare.

Sarà che oggi c’è il sole, ma da queste parti mi sembran tutti così sereni, rilassati. Lo son soprattutto a Christiania, la cosiddetta Città Libera, dove dagli anni settanta a farla da padrona son la condivisione e la creatività. Be’, assieme all’erba, il cui odore si diffonde, intenso, sin dalle prime ore del mattino.

Del resto, a Copenaghen, la natura si trova un po’ da per tutto. Per le vie tortuose di Christiania, così come nel cielo ampio che si fonde col mare o tra gli alberi, i cui rami si allungano fino a bussare alle porte delle case.

È un legame strettissimo, quello con la natura, che finisce persino nel piatto, dove i prodotti son quelli del territorio, saporiti e colorati, ed è un tripudio di erbe spontanee. Oh, i danesi riescono davvero a metterle ovunque, tanto che da ieri non faccio altro che chiedermi, non è che a forza di buttarle giù, va a finire che divento un po’ un’erba spontanea anch’io?

Copenaghen, 10 marzo

Vorrei sapere cos’è che mi ha fatto alzare alle tre, stanotte, per mettermi in auto e raggiungere Bologna.

C’era un tale buio, un tale silenzio, ché a quell’ora della notte, si sa, la gente se ne sta a letto, mica alla guida come me. Che poi, dico io, fosse finita lì. Invece no, ché a quanto pare il rosso di Bologna non mi bastava e così mi son spinta fin quassù, dove il cielo è tinto di bianco ma di colori, intorno, se ne vedono a perdita d’occhio. Blu, rosso, verde… finirci dentro è un attimo, ché oggi, oh, il vento non si da tregua e ti sbatte da una parte all’altra, da un colore all’altro. E così, anche senza volere, un istante sei blu, quello dopo rosso, poi d’improvviso verde.

L’acqua invece è uno specchio quieto, ma anche lei, zitta zitta, non smette mai di muoversi. È così tanta, che ovunque vada me la ritrovo tra i piedi. E come se quella non bastasse, a un tratto ne vien giù un po’ anche dal cielo. Ma qualche minuto più tardi ha già smesso, ché c’è da far spazio al sole.

Allora, sai cosa, io mi tolgo il cappello, mentre intanto penso che son qui solo da poche ore ma una cosa l’ho già capita ed è che questa città è decisamente donna: golosa di dolci, vibrante di colori e dall’umore ballerino.

Ora si che capisco cos’è che m’ha buttato giù dal letto stanotte.