il Venerdì _ 52

Prima di adesso non mi ero mai accorta di quanto fosse faticoso il lunedì. Invece, ultimamente vivo questo giorno con un certo terrore, ché dopo settimane di quasi inattività può accadere che si perda l’attitudine alle ripartenze, anche a quelle di un banale lunedì.

A dire il vero, però, io ce la metto sempre tutta per partire col piede giusto: un caffè tendente all’infinito, buona musica lungo il viaggio e pensieri felici, ma ahimè, ogni volta c’è chi butta all’aria i miei piani. Al punto che, spinta dalla deriva complottista di questo periodo, temo d’esserlo diventata un po’ anch’io, complottista, quando mi ritrovo a pensare che certa gente – in genere la più bizzarra in circolazione – si diverta a darsi appuntamento da noi, tutta insieme appassionatamente, proprio di lunedì, per far sì che le nostre settimane inizino ogni volta con una salita. E mica una a caso, eh, ma una di quelle belle impegnative, che segano le gambe e il fiato sin dai primi passi e ti fan dire, ma chi diavolo me l’ha fatto fare?!

Dalla paziente che si lamenta a gran voce indignata per il fatto che un’emergenza dal dentista abbia un costo (…40€), ai genitori separati che non si possono vedere e a noi tocca far da mediatori per le cure della figlia, passando per quelli che vivono gli appuntamenti come se fossero gite in famiglia e si buttano in studio tutti insieme, alla faccia degli altri presenti e del distanziamento sociale. E infine, come non citare lui, il complottista vero, che ti guarda di sotto in su con l’aria di chi ha capito tutto della vita e dice: tutta ‘sta faccenda è solo un’invenzione, lo sai?

Ah, be’, l’unica cosa certa è che da queste parti la noia non si sa bene cosa sia, anche se, è sempre più evidente che per lavorare in un posto come questo, altro che segretaria, devi saper essere un po’ tutto: avvocato divorzista, psicologa, vigile urbano, virologa… Come se di questi tempi la vita non fosse già abbastanza complicata di suo, con i continui cambi di rotta, le direttive che ti fanno organizzare il lavoro dalla A alla Z e un attimo dopo, via tutto, per ripartire, si, ma stavolta dalla Z alla A.

Oh, in questo giorni il Paese ha fatto solo qualche timido tentativo di ritorno alla normalità, ma da quel che ho visto e sentito, ho come l’impressione che avremmo già bisogno di una nuova sosta. Qualcosa capace di darci respiro, però, e non nuovo stress. Qualcosa come la signora Alma, ad esempio, che sebbene fosse lunedì, è venuta in studio senza polemiche né problemi. Ha risolto la sua urgenza e poi, prima di salutare tutti e andar via, ha detto sorridente e svagata alla Robi: Senta… Che me la fa una cortesia? Che la posso prendere una buttatina di quella pianta lì. Come la mi garba, guardi, l’ha unn’ha idea!
Avoglia! ha risposto la Robi. Uno zac e via, contenta come una Pasqua.

Per puro caso, adesso quella pianta se ne sta nel mio salotto e vien giù verde e vivace dalla libreria. Ogni volta che la vedo penso a quella donna, felice e leggera, che con un sorriso ed una semplice frase m’ha fatto pensare che forse là fuori non son tutti pronti a buttare sul prossimo le fatiche e le frustrazioni di questo periodo, che per quanto in alcuni casi possa esserci andato piano, diciamocelo, i coglioni li ha fatti girare un po’ a tutti. Ma forse là fuori c’è davvero ancora un briciolo di speranza.

E così, d’un tratto la vita sembra essere tornata la cosa meravigliosa che era un tempo, soprattutto adesso che la settimana volge al termine ed io la saluto dal mio salotto, con un po’ di rosso in corpo e Ray Charles nelle orecchie.

il Venerdì _ 50

Nella vita non si sa mai quel che ci tocca. Ci son settimane che filano via con una facilità da non credere e poi, be’, ce ne sono altre, tipo questa, che è iniziata con una sonora pedata nel culo, SBAM, giunta improvvisa a scuotermi dal torpore della quarantena. E in un attimo, ben tornata alla realtà.

Be’, ben tornata si fa per dire. Se c’era una cosa, infatti, che temevo sin dall’inizio era proprio questa: il tornare alla realtà scoprendo che da tutto ‘sto casino non abbiamo imparato un bel niente, ritrovando ahimè ognuno solo più uguale al se stesso di prima.

Niente occhi nuovi o nuovi cuori… Per quel che ho visto in questi giorni, infatti, i buoni son solo diventati più buoni, così come gli altruisti, gli ottimisti e i gentili. Il che non sarebbe poi male, se non fosse che lo stesso vale anche per i furbi, gli arroganti, per quelli che avrebbero di sicuro saputo far meglio ma al solito, oh, han fatto fare tutto a te per poi puntare il dito. Già… vale anche per loro, per quei tipi polemici, che polemici erano e polemici rimangono, solo che adesso – dopo esser stati repressi per giorni e giorni – han raggiunto un livello superiore, diventando così dei veri Super Saiyan della polemica.

Io non so come, ma ogni volta che ho a che fare con persone così il mio cervello se ne esce con un Bona, ci sì! e da forfait.
Il che, detto tra noi, non è proprio il massimo visto che mi occupo di pagamenti. Per fortuna, però, in studio l’hanno capito che questo rischio, noi della segreteria, non lo possiamo proprio correre, allora, per proteggerci – non solo da simili minacce, visti i tempi che corrono – da qualche giorno ci han messe tutte sotto vetro. O meglio… sotto plexiglass, e adesso passiamo le giornate in una dimensione altra, che per quanto sia diversa dall’isolamento della quarantena, ci permette comunque di osservare ed ascoltare il mondo a debita distanza.

A dire il vero, là dentro, qualcosa dall’esterno arriva eccome. Il telefono, ad esempio, ma fino ad ora ha portato solo cose buone.

Mi viene in mente la signora Anna, che l’altro giorno ha chiamato per spostare il suo appuntamento.
“Icchė le dico, signorina? – ha esordito – e c’ho 83 anni, son du’mesi so’ chiusa in casa. Per fortuna che ‘i pizzicagnolo l’ho proprio davanti… figurassi, l’è lui a chiamammi la mattina per chiedere d’icché ho bisogno”.

E senza darmi modo di poter intervenire, ha preso a raccontarmi le sue giornate, passate un po’ come tutti tra cucina e salotto, solo che lei di anni ne ha 83, ha ribadito, per poi sorridere imbarazzata: “Du’mesi sola in casa, mammini… e’mi so’ ritrovata anche a parlare con la televisione, guardi!”.

Così ho sorriso anch’io, ché di questi tempi i motivi per sorridere non son mai abbastanza. “E che sarà mai!”, le ho detto.
“Mah… – ha ripreso – se lo dice lei che l’è giovane, la mi tira su. Eppure oh, finché Dio mi tiene su questa Terra, che le devo dire? Io ci sto, e se questo vol dire ritrovammi a parlare con la televisione, vorrà dire che parlerò con la televisione”.

Non fa una piega, mi son detta mentre l’ascoltavo tirare in ballo Dio ed i piani che aveva in serbo per lei. Giorni di solitudine, magari qualche attimo di tristezza o smarrimento, ma anche gratitudine, si, verso il pizzicagnolo che l’aiuta ogni giorno e anche verso di me, che son stata ad ascoltarla parlare e ridere di gusto. Che spasso di donna!

E così, mentre ridevo insieme a lei, d’un tratto mi son sentita felice e al sicuro, tanto da spazzar via i malumori di poco prima e rendermi conto che non per tutti l’esser rimasti uguale a se stessi è un male. Prendiamo la vita, ad esempio, capace ancora di regalare dopo ogni pedata nel culo un buon motivo per risollevarsi.

Per questo, alla faccia di chi vorrebbe spegnere cervelli ed entusiasmo, le ringrazio entrambe, la vita e la signora Anna, per esser venute in mio soccorso a ricordarmi che là fuori – al di là delle nostre case o di questo strano acquario nel quale mi trovo adesso – ci sono ancora un sacco di cose belle. Cose capaci di far sorridere, sognare, di darci ossigeno quando ne abbiam più bisogno e per le quali vale senz’altro la pena di resistere. Sempre.

Lisandro Rota

il Venerdì _ 31

Questa settimana è scivolata via quasi senza che me ne accorgessi.
Dico io, era l’ora che la vita si decidesse finalmente a render pan per focaccia!

In questi giorni, qua dentro, l’ha fatto un po’ con tutti, anche con me, e così, io non mi son certo tirata indietro, ché quando si parla di carboidrati son di cedimento facile.
Allora ho lasciato far tutto a loro, al pane, alla focaccia e alla vita, impegnati a ripagare gli sforzi fatti nella prima parte di questo anno, che tra corse e nevrotici squilli di telefono, m’è sembrata interminabile a tal punto da esserne uscita a pezzi. O per lo meno questo era ciò che pensavo. Poi l’altro giorno la signora Anna si è fermata in segreteria. Oh, ha detto, invece d’invecchiare, la ringiovanisce…
Io pensavo si riferisse a Sandra, attivissima e in forma più che mai, invece no, Macché Sandra, m’ha detto, e’ dico a te!
Io le ho quasi riso in faccia, ché chissà come, ‘ste cose me le dicon sempre di prima mattina, quando mi sento come se mi fosse passato addosso un tir ed i capelli vanno un po’ dove gli pare, tanto che l’unico modo per contenere lo scompiglio (fisico e mentale) è nascondere tutto in uno chignon.

Cosa? Avrei voluto dirle. Ma non l’ho fatto, ché anche se la signora Anna non sarebbe mai il tipo, sotto sotto temevo una supercazzola. Allora ho detto grazie, mentre intanto pensavo, ah però, pane e focaccia han proprio un effetto miracoloso!

Una spintina però, va detto, gliel’abbiam data anche noi. Ché se i ritmi si son fatti più sostenibili lo si deve soprattutto alla nuova organizzazione, studiata e ristudiata per mesi. Adesso non ci resta che sperare nei suoi buoni frutti. Del resto, le cose, per farle bene non si possono mica improvvisare; van costruite nel tempo, con pazienza e dedizione.
Insomma, come m’ha detto l’altro giorno una paziente, mica si può dar da mangiare alla gallina il giorno del mercato. Per venir su belle paciocche, infatti, le galline van curate passo passo.

Così d’un tratto ho pensato a me, a tutte le persone e a quelle piccole cose che in questi mesi ho trascurato per star dietro al lavoro, allo studio… Ho pensato alla scrittura, messa da parte pure quella, e ai miei passi, che per quanti ne abbia fatti qua dentro in questi mesi, vuoi mettere con quelli liberi e curiosi di qualche mese fa, che si perdevano chissà dove, zaino in spalla.
Allora ho deciso: bisogna che torni ad alimentare questa gallina, ché in fondo nella vita ognuno ne ha una ed io, be’, più ci penso più mi convinco che la mia sia proprio questa.

il Venerdì _ 10

Passata l’euforia del rientro, questa settimana son tornata alla realtà. E stavolta intendo sul serio, mica per dire. Dopo i racconti spassionati e gli abbracci stretti, infatti, la vita è tornata davvero ad essere quella di sempre, con inseguimenti nei corridoi e raccolta di “Ne parliamo dopo”. Altro che spiagge paradisiache e mare cristallino. Un pacca sulle spalle e via, si riparte.

La pacca, a dire il vero, ho come l’impressione d’averla presa sulle chiappe, ché da queste parti, oh, non si fa altro che correre. Tanto che a tratti mi tornano alla mente gli abitanti dell’Isola di Santiago. Atletici, instancabili e con dei culi ma dei culi, che se ci ripenso, mi dico, vuoi vedere che con tutta ‘sta corsa alla fine vien fuori anche a me un culo così.

Lo ammetto, un po’ lo spero, ché la speranza, si sa, è l’ultima a morire. E così, mentre corro, mi capita anche di sperare. In un culo migliore e in un sacco di altre cose decisamente più edificanti. Come ad esempio che il nostro correre quotidiano prima o poi ci porti da qualche parte. Ché ok il non poter aver tutto sotto controllo, ma ogni tanto, dico io, sarebbe anche il caso di saperlo dove si sta andando. Non fosse altro per il fiato e le gambe, che col passare degli anni, di tutta questa corsa per chissà dove, iniziano un po’ a risentirne.

Di tanto in tanto, allora, me lo chiedo: Si può sapere dov’è che stiamo andando esattamente?

E quando lo faccio, be’, lo faccio ad alta voce, ché la risposta non può mica esser solo la mia.

A quanto pare, però, la mia voce è troppo bassa o forse si muove su frequenze diverse da quelle a cui mi rivolgo. Chi lo sa?
Quel che è certo è che quella domanda cade spesso nel vuoto, in un toc silenzioso che ricorda quello di un cellulare che tocca terra. Che le prime volte ti disperi, ma dopo un po’ che capita, non ci fai più manco caso. Lo raccatti e via, in attesa della prossima inevitabile caduta.
Toc.

Chissà, forse la verità è che in questa vita ognuno corre da solo e un po’ dove gli pare. Anche se ‘sta cosa, a me, non piace mica poi tanto. Be’, per fortuna ci pensano i cenci dell’Anna a tirarmi su. Per Berlingaccio s’è data un gran da fare e figuriamoci se la Mau non ce ne avrebbe portati un po’ anche a noi, ché la parentesi delle arance, mi sa, non ha fatto in tempo ad aprirsi che si è già conclusa. E così, con quel dolce sapore in bocca e la voce di Cesária Évora che mi gira in testa, in questo grigio inizio di marzo io continuo a sperare. Prima o poi quella risposta arriverà; e chissà, magari anche un bel culo capoverdiano.

Sodade _ Cesária Évora

il Venerdì _ 09

Le cose belle, si sa, non durano in eterno. Un po’ come le ferie, che le aspetti per giorni, settimane, e poi, quando finalmente arrivano, è un attimo che se ne volan via.

E così, adesso, dei mari del sud non resta che un caldo ricordo che sa di sale, cachupa e gin tonic. D’un tratto, infatti, lunedì mi son ritrovata di nuovo in ufficio. Sbam! Scaraventata in quella che è la vita di sempre, fatta di mal di denti, capsule saltate e preventivi.

Il sole, fuori, ha continuato a splendere come se nulla fosse, solo che io, le ore, ho ripreso a passarle dentro e così, il mio colore sta lentamente tornando ad essere quello di sempre: un bianco che un giorno vira al rosa e quello dopo al grigio, in una scala cromatica che chissà come, a volte riesce addirittura a spingersi fino al verde.

Ma suvvia non ci lamentiamo, ché son tornata da appena una settimana e poi, va detto, il rientro poteva andare decisamente peggio, anche se in questi giorni non mi son fatta certo mancare niente. Ho avuto a che fare col paziente sarcastico, con quello acido e col marpione. C’è poi chi ha smattato dal dolore e chi, invece, mi ha espresso il suo sostegno, ché qui, ha detto, avete un bel da fare, eh.

Già! Ma devo ammettere che per quanto sia stato faticoso, è stato anche bello, dopo tanto, tornare a respirare aria di casa. E poco importa se questa casa odora di studio dentistico. È stato comunque bello, si, ché gli abbracci che mi danno qui, non me li danno mica da tante parti.

Le cose, insomma, son rimaste pressappoco le stesse di prima che partissi. Dico pressappoco perché al mio rientro ho trovato i timbri da tutt’altra parte, qualche forza operativa in più e la Mau con una manciata d’arance al posto delle solite brioches. Ché non posso mica continuare a buttar giù dolci su dolci, ha detto.

E poi, be’, ho trovato un bigliettino, messo vicino al computer a ricordarmi quanto sia importante, in questo marasma, starsi accanto tutti i giorni e riuscire così a farsi un tutt’uno.

“Un amico saggio sa evitarci molte pene”.
Baltasar Gracian

il Venerdì _ 01

Il Natale è alle porte.
A ricordarmelo sono le luci colorate del piccolo albero in sala d’attesa, assieme alla playlist di Spotify, che da qualche giorno non fa altro che rimbalzare da Jingle Bell Rock a Last Christmas. Passando ovviamente da Let It snow! Let It snow! Let It snow!, che a forza di insistere, oh, è andata a finire che la neve è arrivata sul serio.

Per il resto, questo Natale mi sembra ancora un miraggio.
Lontano. A tratti irraggiungibile.
Mi piacerebbe poter dire di sentirlo nell’aria, nel profumo di pungitopo o in quello di un panettone appena uscito dal forno, ma ahimè, il più delle volte la realtà non è affatto all’altezza delle aspettative. E così, il Natale tocca coglierlo nel telefono che squilla senza tregua e nei miei passi svelti, ma così svelti, che se ci penso, quasi quasi l’anno prossimo mi candido come aiutante di Babbo Natale.

Ma ora basta lamentarsi! Ché il lamento, si sa, spegne il cervello, mentre invece il cervello andrebbe tenuto sempre ben acceso, soprattutto in periodi come questo, di temperature sotto zero e sistema immunitario che vacilla.

Tenersi su, ecco cosa bisogna fare.
Lo sa bene Eraldo, che l’altro giorno è passato allo studio per portarci una scatola di cioccolatini. Lo stesso ha fatto la Lia. Tieni chicca, ha detto, ché ne avete bisogno. E io lì, sorridente, a chiedermi, ma si vede così tanto? Chissà se il peso di questi giorni mi si legge più in viso o nei capelli arruffati?

È che la vita va combattuta.
Me l’ha detto l’altro giorno un paziente, e visto l’andazzo, be’, non posso che dargli ragione.
Una lotta continua, a tratti estenuante. Ma non c’è da temere, ché le forze per poterla affrontare ce le abbiamo. Ci sono state date, ha detto lui, e l’ha detto guardando con fiducia all’insù, nell’alto dei cieli, mentre il mio sguardo si andava a rifugiare tra i cioccolatini.

Che dire? Ognuno trova le forze dove crede.
E poco importa se le mie gambe non sono più scattanti come una volta, se gli addominali mi hanno detto addio e son partiti per un viaggio di sola andata. L’animo resiste agli scossoni e le spalle sono belle larghe. Anche se, a forza di combattere a suon di cioccolata, ho come il sospetto che presto il mio sedere farà la stessa fine delle spalle…

Ma del resto, cosa ci posso fare?
La dobbiamo combattere o no ‘sta vita!?

il Venerdì _ 00

Di venere e di marte né si sposa né si parte, né si da principio all’arte.

Già! Me lo ripeto da tutta una vita. Quella che sta per concludersi, però, è stata una settimana strana. Forse sarebbe meglio dire assurda. Si, assurda, ma così assurda, che penso sia esattamente la settimana giusta per dare il via a qualcosa proprio di venerdì.

Sarà l’incalzare dei giorni e la fine dell’anno che si fa sempre più vicina, o forse l’approssimarsi del Natale, che ogni anno porta con sé ansie e corse al regalo dell’ultimo minuto. Chissà… quel che è certo è che la gente sta impazzendo e sebbene sembri impossibile andare oltre il limite raggiunto, questo periodo dell’anno è solito riservare a riguardo interessanti sorprese, ahimè non solo ben infiocchettate sotto l’albero.


Di gente bizzarra in giro ce n’è davvero tanta. Ne vedo un po’ ogni giorno, scontrosa, ironica, tenera da lasciar senza parole.
Si potrebbe pensare che la segretaria di uno studio medico passi le sue giornate a vedere sempre le stesse facce, a far sempre le stesse cose, a farsi due palle, insomma… invece le cose non stanno affatto così. Certo, avere a che fare con gli altri richiede spalle larghe e una bella pazienza, ma ci sono incontri capaci di ripagare gli sforzi.
Cosi ho pensato, perché non dar spazio a questi incontri? Ché in fin dei conti, nel frullatore inarrestabile  della quotidianità, sono ciò che fa la differenza. Raddirizzano una giornata storta, ad esempio, fanno riflettere o ti piegano in due dalle risate. Allora ho deciso, ne sceglierò uno a settimana: un incontro, una frase, uno scambio di battute, che a suo modo abbia fatto la differenza.

Parto con le migliori intenzioni e se poi non dovessi continuare, sarà stato perché di venere o di marte… be’, intanto penso a un buon inizio, che chi ben comincia, si sa, è a metà dell’opera. Così le prime parole sono quelle d’una collega, nonché preziosa amica, che a fine di una tumultuosa giornata di lavoro, ricca di stravolgimenti nell’assetto organizzativo, mi si è fatta vicina e ha detto: “Sai, di tanto in tanto la merda va fatta arieggiare, sennò va a finire che la unn’è mica bona a fare da concime”.

E allora sai icchè?
Arieggiamo!